Il trend Glocal è alla base degli altri trend che si stanno sviluppando nel Mercato: il Business diviene in qualche modo, contemporaneamente Locale e Globale.
Il concetto è utilizzato da tempo (anni ‘80), ma oggi esso va rivisto in funzione di quanto è emerso negli ultimi decenni.
Il termine Glocal implica il convergere delle due componenti:
● localismo: il business si adatta alle caratteristiche del luogo specifico: (peculiarità geografiche, Cultura/tradizioni). Caratteristiche che rappresentano – come ci ricorda la Scienza – la diversità essenziale all’evoluzione della specie umana (ed ad ogni contesto sociale – e di Mercato – creato dall’uomo).
● globalizzazione in quanto trend naturale che negli ultimi decenni, anche grazie alle Tecnologie della Comunicazione, hanno reso possibile un contatto costante anche tra persone che aibtano in parti lontane del Pianeta. E, tra le altre cose, l’ubiquità dei servizi (sui siti di servizi online spesso non vi è più “l’indirizzo” fisico dell’Azienda).
NEED FOR A “REVISION”
OF THE TERM GLOBALIZATION
A review of Globalization:
va bene qui
Oggi si vive una fase della Globalizzazione che – almeno per il momento – produce più svantaggi che vantaggi (conflitti tra etnie, esclusione, povertà, ecc …).
La Globalizzazione non è di per sé un problema, anzi probabilmente essa è il mega-trend fondamentale per l’evoluzione dell’umanità.
Il problema nella attuale concezione (ed applicazione) della Globalizzazione è che, a differenza delle mode, le tendenze sociali (trends) sono un fenomeno spontaneo prodotto dalle coscienze degli individui (spinte da un mix di forti necessità o pulsione a migliorare la propria vita). Ed tali trends, come tutti i fenomeni spontanei, quando sono fortemente “gestiti” da qualcuno vengono a perdere le valenze originarie, e producono effetti collaterali indesiderati.
La Globalizzazione attuale ricade proprio in questa tipologia di sviluppo “gestito” – dall’alto – dei Trends: i Governi ed il Mercato dei grandi Player globali forzano il fenomeno spontaneo per portarlo a corrispondere ai propri disegni “idealistici”. In questo modo si ottengono risultati che sono in contrasto con le pulsioni delle persone a migliorare le loro vite.
Si noti che entrambi i globalizzati ed in globalizzanti, per ragioni diverse, sono motivati dalla pulsione alla Globalizzazione. Ma in questa fase della globalizzazione entrambe le parti sono afflitte da problemi, che non lasciano vedere una soluzione nel breve termini. Anzi, più su procede con la attuale Globalizzazione, e più aumentano i problemi.
Che cosa è in essenza la Globalizzazione (a prescindere da significati idealistici)?
La globalizzazione – se volgiamo una definizione terra-terra – è un fenomeno prodotto spontaneamente dall’umanità caratterizzato da:
● facilitazione dello scambio di informazioni e dei trasporti tra parti differenti del Mondo: oggi le persone possono vedere nei dettagli come si svolge la vita in Civiltà differenti dalla loro, e possono viaggiare in modo economico (anche con i tristemente famosi gommoni). La caduta del Muro di Berlino è un esempio significativo di ciò: i Berlinesi dell’Est erano a conoscenza, tramite la TV, delle qualità della vita in Occidente, ed hanno spontaneamente sviluppato una forte pulsione a emigrare che ha costretto le Istituzioni ad arrendersi).
● voglia di cambiare qualcosa della propria vita; desiderio di contaminazione delle propria cultura, che, come mostrano molti studiosi (tra i quali Toynbee, Batra e P.R Sarkar), è proprio di alcune generazioni, e trasforma le popolazioni (parte di esse) da sedentarie (desiderio di rimanere attaccati alle radici, di conservare lo status quo, ecc … ) ad in “avventurieri”.
Ricordiamo che questa pulsione è presente anche nei “globalizzati” – gli ospitanti – che apprezzano il fatto che la loro cultura, la loro vita sia contaminata dalla presenza di stranieri – come nel caso delle immigrazioni dalla Cina e dall’India di alcuni decenni or sono – dei quali essi possono godere di cucina, pratiche salutistiche, ecc …
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Si sente stretta la clutra del luogo … e contribuire alla nascita di una nuova cultra …
Dal punto di vista della Storia, si possono individuare diverse forme di “globalizzazione”:
● quella definita “imperialismo”, sviluppata “dall’alto” in base a “pulsioni” dei Governanti.
● la Globalizzazione “dal basso” – in dimensione elitaria – come nel caso di Marco Polo e della Via della Seta.
● globalizzazione pienamente dal basso che è stata difficile da realizzare prima della modernità a causa dell’assenza di forme di comunicazione efficaci, e di mezzi di trasporto popolari.
Una prima forma di Globalizzazione spontanea del “Crowd” è stata la prima fase dell’emigrazione di Cittadini europei nel Nord America nel ‘500 (in tale fase, precedente alla “colonizzazione” istituzionale, non vi erano problemi “di spazio” sul territorio, e non vi erano conflitti coi in nativi).
Tale emigrazione si è, appunto, sviluppata in base alle condizioni di: (1) conoscenza delle qualità del nuovo continente grazie ai nuovi media (nuove pubblicazioni su carta stampata) (2) tecnologie di trasporto “popolari” (le nuove navi erano in grado di attraversare l’oceano) e (3) necessità di abbandonare i luoghi natii per insostenibilità della vita (estrema povertà o persecuzioni).
Interessante è l’evoluzione di tale fase di migrazione spontanea: ad essa è seguita una fase di Globalizzazione “governata” dall’alto, che ha portato primo luogo il fallimento eclatante della prima colonia ufficiale della Virginia, voluta da Mercato (produttori di tabacco) e Regno d’Inghilterra (fallimento segnato dalla morte della maggior parte dei coloni per fame, e da sanguinosi conflitti con i nativi).
E successivamente ha portato ha forti conflitti con i nativi (fino a che sono stati praticamente eliminati).
Il problema è, appunto, che quella attuale è più una Globalizzazione gestita dall’alto che un fenomeno spontaneo. E’ cioè più una strategia definita a livello Governativo che una vera tendenza sociale: parte sì da una esigenza sociale (molto forte), ma viene “gestita” (manipolata) in modo artificioso, creando conflitti con i “meccanismi della realtà” (in questo caso con le vite di ospitanti ed ospitati).
Nel linguaggio attuale, si può parlare di “strumentalizzazione” di un fenomeno naturale: le popolazioni divengono uno strumento per realizzare un disegno “idealistico”, che per quanto frutto di buone intenzioni, porta le popolazioni a pagare un pesante tributo: a pagare sono i Globalizzati (inizialmente), ed i Globalizzanti (più gradualmente).
Globalizzazione in quanto commistione di culture
Un altro livello di Globalizzazione è quello che avviene non tanto per il trasferimento di popolazioni, ma avviene a livello culturale.
Ciò è possibile grazie alle Tecnologie di Comunicazione interattiva, grazie alle quali le persone possono intrattenere rapporti con altre persone anche molto distanti; ed alcune culture specifiche possono essere diffuse a livello mediatico.
Di questo fenomeno è un esempio significativo quello degli Antichi Romani che avevano letteralmente adottato la Cultura Greca (testi di Filosofia, opere di Teatro). Ed avevano mutuato la loro religione politeistica da quella Greca.
Forse la prima iniziativa “dall’alto” (ideologica) di Globalizzazione della cultura è stata il cosiddetto “Stile Internazionale” – nell’architettura – sviluppato nel ‘900 da LeCorbusier (il quale era una internazionalista anche a livello ideologico, volendo egli diffondere la “cultura” Marxista nel Mondo).
L’esempio più significativo dello stile internazionale di Le Corbusier che si studia all’Università è quello delle abitazioni in India, create con lo stile moderno di palazzoni in cemento armato, utilizzati poi come stalla per le pecore.
I problemi della Globalizzazione attuale
Uno dei problemi che può portare la Globalizzazione culturale è che essa può portare all’eliminazione totale delle culture locali (che una volta perdute, sono poi difficili da recuperare ).
Ciò può avvenire con due modalità distinte:
● una globalizzazione prettamente “cultuale”, nella quale a livello mediatico viene diffusa una Cultura specifica che diviene alla fine “dominante”. Il problema non è qui nella “bontà” della Cultura diffusa: il fatto è che in questo modo, azzerando le culture locali, si elimina quella diversità che è alla base dell’evoluzione delle comunità biologiche e culturali sulla Terra.
● la globalizzazione del Mercato. In realtà non rappresenta, come è negli altri casi, una “vera” cultura: non si tratta di una Cultura prodotta da qualche etnia specifica, non rappresenta l’identità di una popolazione. Ma è una cultura artificiale nata da “scienziati” del Mercato (del marketing) che va a sostituire le specifiche culture locali della Terra.
Della Cultura di Mercato fanno parte le specifiche Cultura del Prodotto e del Commercio: la Globalizzazione del Mercato – nella sua forma attuale – finisce per sopprimere quelle culture locali legate al prodotto ed alle modalità del Commercio che erano determinanti per il successo del mercato in tale luogo.
Ovvero, il trend di Globalizzazione applicato negli ultimi decenni ha portato allo sviluppo di una non-cultura che, nel lungo periodo, ha finito per creare strategie fallimentari.
La Cultura è conoscenza sviluppata da una etnia per adattarsi alle condizioni del luogo (ovvero per adattarsi alla realtà).
La nuova Cultura è l’opposto, un tentativo di sostituire le regole della realtà.
La nuova Cultura del mercato (che “rivoluziona” quella tradizionale, come è per il ribaltamento del principio della Domanda e dell’Offerta) ha potuto avere un forte successo fin tanto che essa ha potuto “indurre” le persone all’acquisto d’impulso di beni non necessari; ma in questa fase di crisi economica, essa non è più in grado di riportare i consumatori a quel consumo cospicuo che le permetteva di prosperare.
Ora, appunto, si sta sviluppando una “vera” Cultura (nel significato originario) con la quale il Crowd opera per adattarsi alla nuova realtà effettiva di crisi. Questa è appunto l’origine dei nuovi trend “social” che si stanno sviluppando con le nuove Tecnologie dell’informazione interattiva.
Questo azzeramento delle Culture “di Mercato” locali ha portato ad una sparizione delle qualità specifiche (locali) degli operatori del territorio
(di artigiani, imprenditori e commercianti).
La Cultura di Mercato locale eliminata da un paio di generazioni è effettivamente difficile da recuperare. Per questa ragione oggi il Mercato locale attuale non è più in grado di recupera le capacità di produrre i “prodotti locali”, né di sviluppare strategie di commercio tradizionali (non è in grado di soddisfare i bisogni legati al contesto etnico specifico).
E viene anche a mancare la cultura della riparazione di oggetti guasti solo in dettagli: questa è una delle cause dell’esaurimento della capacità di spesa del consumatore costretto ad acquistare continuamente nuovi prodotti per rimpiazzare quelli rotti (che, a causa del principio di “obsolescenza programmata” adottato dal Mercato, si rompono dopo poco tempo).
Un’altra causa dell’estinzione del Mercato di produzione locale (come è per i formaggi ed altri cibi lavorati) è l’iper-regolazione che l’intesa tra grandi operatori del Mercato e le Istituzioni governative ha imposto (oggi è quasi impossibile per un produttore locale vendere “prodotti in regola”, per cui la gente è costretta ad acquistare nei Discount – a prezzi simili – prodotti dalle scarse qualità).
Cosa significa Glocal: cosa è locale, e cosa è globale?
Oggi le strategie del Mercato globale diventano inefficaci di fronte alle conseguenze della crisi economica (che è, appunto, globale).
Essere in grado di seguire il trend Glocal è quindi oggi fondamentale per poter sviluppare business di successo.
Si tratta cioè di
innovare le proprie strategie
(ma, a monte di tutto, la propria mentalità, ossia la propria cultura)
per recuperare in qualche modo la Cultura di Mercato locale
(senza però perdere le qualità positive della Globalizzazione).
In realtà, anche in questo caso, si tratta, in gran parte, di recuperare modalità (stili di vita, regole del mercato) tradizionali.
Per comprendere il significato del trend Glocal, è necessario comprendere i fattori coinvolti in questo fenomeno.
Più indietro nel tempo il Mercato era fondamentalmente locale. Ovvero – ancora nel secondo dopoguerra del ‘900 – i prodotti venivano sviluppati grazie all’intuizione di un imprenditore: e ciò avveniva, appunto, a livello locale.
L’intuizione avveniva cioè quando l’imprenditore frequentava il “crowd”, e ne percepiva in modo diretto i bisogni (in quel momento esso era parte del crowd).
Forse uno degli esempi più significativi di tale modalità è quello della invenzione del sistema di biglietti numerati per le code nei negozi.
Si noti che le soluzioni imprenditoriali erano sempre, inizialmente, soddisfazione di bisogni legati al territorio (bisogni locali). Solo successivamente la distribuzione poteva essere allargata ad altre aree con bisogni simili (con una opportuna differenziazione del prodotto).
I bisogni locali sono rimasti un fattore importante anche nel mercato globale, per quanto riguarda, ad esempio, gusti dei consumatori e logistica.
Sono quindi nati alcuni modelli di business che integravano globalità con località, come quello dei prodotti brandizzati (“private labels”): prodotti venduti nelle catene dei supermercati “globali” che sono però prodotti da aziende locali e rimarchiati con il logo del Supermercato.
In questo caso il Marchio del supermercato diviene una garanzia per prodotti di piccoli produttori locali sconosciuti.
Lo sviluppo di nuovi Models nel Mercato Glocal
Un altro caso di strategie proto-glocal è quello del franchising, che permette ad Aziende globali di adattarsi meglio a cultura e preferenze del luogo.
E’ possibile sviluppare ulteriormente tale concept, come si è visto con la comparsa di nuovi model . come quello utilizzato da aziende come Uber ed ArB&B, le quali pongono il loro Marchio globale su business locali (guidatori, proprietari di abitazioni, ecc …).
Altri models si stanno sviluppando, sovvertendo le regole del Mercato globale, recuperando, in parte, le regole tradizionali del mercato (queste regole possono essere “evolute” applicando alle strategie le innovazioni prodotte nel frattempo, come le ICT)..
Alcune di queste innovazioni radicali sono:
■ le Values Webs sostituiscono la Supply chain: dalla catena lineare, alle ramificazioni amorfe nella quale ogni punto è indirettamente in contatto con qualsiasi altro. Nella nuova “catena” si inseriscono anche il Crowd e tutti operatori in qualche modo coinvolti (dipendenti, consulenti, ecc …).
Questo trend implica altre tendenze innovative come dis-intermediazione, direct o partecipated governance. E favorisce i modelli del Commercio a KM 0 (si andrà sempre più verso un contatto diretto tra produttore e consumatore – gli intermediari vi saranno solo più quando sono in grado di aggiungere valore alla “catena”).…
■ rilancio delle economie (e dell’occupazione) locale: le nascenti forme di Commercio di Prossimità e di Industry 4.0 (in grado di produrre con macchinari semplici e flessibili, in modalità franchising, anche prodotti complessi) permetto di spostare la produzione a livello locale.
■ spinta al fare comunità (Community-making – Communities 2.0). Le Value webs permettono non solo di integrare Consumatori, ma anche, e soprattutto Comunità (di Consumatori, Consulenti, ecc …).
Queste communites operative possono essere, ad esempio, Gruppi di acquisto, reti di consulenza o reti di solidarietà e caring.
■ de-centralizzazione: che permette una “localizzazione” della progettazione/produzione e delle strategie di commercializzazione.
Tutto ciò si oppone dunque alla Globalizzazione attuale – intesa come fenomeno di “induzione dall’alto” di nuova cultura e nuovi prodotti – che, anche applica forme di “localizzazione”, in realtà non fa altro che sostituire la cultura locale con una nuova Cultura globale. Come avviene con la Macdonaldizzazione del fast food.
Oggi si tratta, appunto, di invertire tale pseudo-trend, questa volta partendo dal locale (con mentalità e conoscenze locali; pur mantenendo gli aspetti positivi della Globalizzazione vera e propria).
Non si tratta però di rimettere la gestione del Business in mano agli attori locali (se non in minima parte). Ma
si tratta di fare in modo che il Crowd divenga il protagonista della definizione di strategie di prodotto e di vendita
(il mercato diviene in questo modo realmente Crowd-driven; i Consumatori divengono i decision maker).
Oggi ciò è possibile grazie alla diffusione delle nuove ICT e delle new pratices ad esse legate.