La strage dei cristiani in Vandea | faro di roma
8 years ago
Con la domenica delle Palme, la Chiesa celebra l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, accolto dai bambini in festa. La settimana santa, ricorda ai credenti, il sacrificio di Cristo sulla croce, il quale “con forti grida e lacrime”, ha offerto la sua vita per la salvezza degli uomini. Nel corso del tempo e della storia, tanti testimoni del Vangelo, hanno reso testimonianza al Signore, fino all’effusione del sangue. All’inizio di questi giorni santi, vogliamo ricordare il primo “genocidio si stato” della storia occidentale che ha sterminato senza pietà i cristiani di Vandea, accusati di non accettare i venti rivoluzionari che soffiavano in quegli anni in Francia.
Lo storico Secher, uno dei primi studiosi che si occupò della vicenda, è stato perseguitato per aver rivelato i massacri della Rivoluzione francese e portato alla luce un genocidio sconosciuto. Le prove di brutalità raccapriccianti, le stesse dei lager nazisti. Lo sterminio di chi preferiva i preti agli insorti: 117 mila morti (su 800 mila), 10 mila casolari distrutti (su 50 mila). “Diffamato dopo gli studi, mi hanno vietato, l’università, ho perso il lavoro e non riuscivo più a trovarne uno”, commenta amaramente Secher. Per questo, viene perseguitato dal potere. Diffamato, ridotto alla disoccupazione, impedito di diventare docente universitario. Non è accaduto nella Germania di Hitler, né nella Russia di Stalin: è accaduto nella Francia di Mitterrand nell’anno 1985.
I primi testi che trattarono del genocidio vandeano furono le memorie di alcuni dei protagonisti di quei tragici eventi: la marchesa La Rochejaquelein, Poirier de Beauvais, Joseph de Puisaye, la signora Sapinaud de La Rairie e per i repubblicani: Grouchy, Kléber, René-Pierre Choudieu, Turreau, Dumas. Il più celebre documento, del primo raggruppamento di testimoni, sono le Mémoires (1811) de Madame la marquise de la Rochejaquelein, vedova di Louis Marie de Lescure e in seguito di Louis de La Rochejaquelein, che essendo vedova di due tra i più importanti generali dell’Esercito cattolico e reale visse in prima persona tutte le guerre di Vandea, che descrive come una rivolta spontanea dei contadini per difendere il loro re e la loro Chiesa.
La stampa di sinistra ha contestato allo studioso l’uso della parola ‘genocidio’, che per essa va applicato solo ai crimini del ventesimo secolo, non a quelli del 18, ha scritto Jean-Francois Revel su Le Point. “Ma di genocidio si trattò, in Vandea. Lo scopo proclamato era di sterminare la popolazione; non solo i combattenti, ma anche le donne e i bambini. Si distrussero sistematicamente i mezzi di vita della popolazione, case, campi, bestiame, boschi. E non per anarchia, ma per un disegno. Anche quando i ribelli erano ormai ridotti all’impotenza”. I documenti e le testimonianze recuperate richiamano paurosamente, fin nei particolari, l’olocausto degli ebrei sotto il Nazismo. Da Parigi, la Convenzione moltiplica ai suoi comandanti in Vandea l’esortazione allo “sterminio” allo “spopolamento”, come Himmler ordinava la “soluzione finale”. Ad Angers, il tribunale raccoglie le prove, il 6 novembre 1794, che decine di vandeani uccisi sono stati “scorticati dalla cintola in giù”, e la loro pelle, conciata, usata per farne pantaloni per i soldati: allo stesso modo, ad Auschwitz, si fecero paralumi con la pelle degli ebrei. A Clisson, nell’aprile, 150 cadaveri di donne furono bolliti per estrarne “10 barili di a grasso, inviati a Nantes”. A Chaux, un testimone depone di aver visto “fucilare da 400 a 500 bambini, di cui i maggiori avevano forse 14 anni”.
Il regime rivoluzionario di Parigi venne imposto con la forza nelle province di Francia ed ebbe in Vandea, la più cattolica di esse, la reazione più coraggiosa e gloriosa. I Blanchs (i vandeani) si contrapposero ai Blues (i giacobini): uniti a Dio e al Re, i contadini della Vandea, con i loro amati sacerdoti e i loro generali, si distinsero per la strenua difesa contro la dea ragione ed il principio deista dell’essere supremo; perciò, a causa del loro fermissimo Credo e della loro fedeltà monarchica, vennero massacrati. Per odio ideologico perirono, in quell’ecatombe, più di 30 mila abitanti. La Vandea oggi è mito e tabù, tanto che il massacro alla chiesa di Petit Luc a Roche sur Yon viene accostato a quello nazista di Oradour nel 1944. Il leader della gauche militante Jean-Luc Mélenchon ha protestato vivacemente per un programma televisivo andato in onda su France 3, dove Robespierre viene chiamato “il boia della Vandea” (le bourreau de la Vendée). Anche il settimanale Nouvel Obs attacca il documentario di Franck Ferrand, in cui le armate giacobine vengono accostate alle Einsatzgruppen naziste. I preti che insorgono in Vandea erano chiamati “corvi neri”. Scortate da gendarmi mal vestiti, con la coccarda tricolore sui cappellacci, le carrette della Rivoluzione erano cariche di questi preti refrattari detti “insermentés”, quelli che non hanno giurato, che hanno mantenuto fedeltà all’autorità del Pontefice, cancellata per decreto. Georges Jacques Danton avrebbe voluto fare un mazzetto di tutti i preti refrattari su cui si riusciva a mettere le mani, imbarcarli a Marsiglia e scaricarli da qualche parte sulle coste dello stato della chiesa, come una trentina di anni prima Sebastião José de Carvalho y Melo, marchese di Pombal, illuminato primo ministro di re Giuseppe I, aveva tentato di fare con i gesuiti espulsi dal Portogallo.
Lascia scritto Aleksandr Isaevič Solženicyn: “Già due terzi di secolo fa, da ragazzo, leggevo con ammirazione i libri che evocavano la sollevazione della Vandea, così coraggiosa e così disperata, ma non avrei mai potuto immaginare, neppure in sogno, che nei miei tardi giorni avrei avuto l’onore di partecipare all’inaugurazione di un monumento agli eroi e alle vittime di questa sollevazione. […] gli avvenimenti storici non vengono mai compresi appieno nell’incandescenza delle passioni che li accompagnano, ma a distanza, una volta che il tempo li abbia raffreddati.
Per molto tempo ci si è rifiutati di capire di accettare quel che gridavano coloro che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una contea laboriosa, per i quali la rivoluzione sembrava essere fatta apposta, ma che la stessa rivoluzione oppresse e umiliò fino alle estreme conseguenze: e proprio contro essa si rivoltarono. […]. È stato il ventesimo secolo ad appannare, agli occhi dell’umanità, quell’aureola romantica che circondava la rivoluzione del XVIII secolo […] le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società; quanto rovinino il corso naturale della vita; quanto annichiliscano i miglioramenti della popolazione, lasciando campo libero ai peggiori; come nessuna rivoluzione possa arricchire un Paese, ma solo qualche imbroglione senza scrupoli; come nel proprio Paese, in generale, essa sia causa di morti innumerevoli, di un esteso depauperamento e, nei casi più gravi, di un decadimento duraturo della popolazione” («Famiglia Cristiana», n. 41/1993, pp.80-81).
In Vandea si verificarono una serie di conflitti civili scoppiati al tempo della Rivoluzione francese, che videro la popolazione della Vandea e di altri dipartimenti vicini insorgere contro il governo rivoluzionario. La prima e la seconda guerra di Vandea vengono solitamente accorpate in un unico periodo che va dal 1793 al 1796. L’insurrezione ebbe inizio nel marzo 1793, quando la Convenzione Nazionale ordinò la leva obbligatoria per 300.000 uomini da inviare al fronte e proseguì per i successivi tre anni, con brevi tregue durante le feste come il Natale e la Pasqua. Il periodo più acuto degli scontri, in cui spesso gli insorti ebbero ragione delle truppe repubblicane, terminò con la vittoria di queste ultime nella battaglia di Savenay. La repressione compiuta tra l’estate del 1793 e la primavera del 1794, ad opera delle truppe repubblicane regolari e da reparti di volontari, fu assai feroce.
In Vandea la guerra non ebbe un centro, ma era dappertutto, perché ovunque vi fosse un vandeano, fanciullo o adulto, uomo o donna che fosse, là per la Repubblica si trovava un “soldato nemico”. Nessuna delle regole dell’antica arte militare fu rispettata in quella guerra, perché fu la “prima guerra moderna”, in cui dei civili si fece carne da macello. In Vandea le armi principali furono le preghiere nelle chiese solitarie, le corone di rosario agli occhielli, i “sacri cuori” cuciti agli abiti, le processioni e le riunioni nei boschi, i giuramenti di rifiutarsi al reclutamento, i racconti dei miracoli, fu la rivolta di tutto un popolo, in cui le congiure erano nascoste dietro l’altare di ogni borgo contadino. I sacerdoti officiarono nelle brughiere e nelle paludi. Per primi s’armano i contadini. Mentre altrove in Francia sono state le classi superiori ad avere spinto il popolo, nella Vandea cristianissima è il popolo a incitare le classi superiori. A dispetto di certa storiografia, i contadini della Vandea non erano monarchici più di altri, non furono supini sostenitori dell’Ancien Régime. Erano profondamente cattolici. L’origine di questa fedeltà vandeana alla chiesa ebbe radici antiche, affonda in un passato di simpatie calviniste e nell’opera di catechizzazione dei missionari della Compagnia di Maria e delle Figlie della Saggezza.
Tuttavia gruppi armati vandeani continuarono a combattere e una tregua vera e propria si ebbe solo nella primavera del 1795, con la pace di La Jaunaye. Questa prima guerra fu la più importante per numero di operazioni militari ed è quella a cui comunemente ci si riferisce trattando dell’insurrezione vandeana. Nondimeno lo stato insurrezionale rimase endemico nella regione e la rivolta si riaccese più volte negli anni seguenti, soprattutto nei momenti di crisi dei governi repubblicani e napoleonici. Il 24 giugno 1795 iniziò la seconda guerra di Vandea, che terminò l’anno successivo. La terza guerra di Vandea durò solo tre mesi, dal 26 ottobre al 17 dicembre 1799, terminando con l’armistizio di Pouancé: a causa dell’instabile situazione politica, la Francia non avrebbe potuto sostenere una nuova guerra civile e per questo motivo il nuovo Governo francese preferì acconsentire alle richieste degli insorti, in modo da evitare il ritorno della monarchia, che in quel momento sembrava imminente. La quarta guerra di Vandea iniziò nel marzo 1813, dopo la ritirata di Napoleone dalla Russia (1812) ed ebbe una pausa quando, a seguito della sconfitta dell’Imperatore a Lipsia (ottobre 1813), Luigi XVIII salì al trono, nell’aprile 1814. Dopo il ritorno al potere di Napoleone con i Cento Giorni, la guerra riprese il 15 maggio 1815 e terminò il mese successivo quando, a seguito della battaglia di Waterloo, Luigi XVIII ritornò sul trono di Francia nel giugno 1815. Il Sovrano, in segno di riconoscenza, conferì il grado di generale dei granatieri reali (un corpo militare addetto alla protezione del re) al generalissimo dell’armata vandeana Louis de La Rochejaquelein e lo stesso fece con il suo successore Charles Sapinaud, che divenne generale e fu insignito del titolo di Duca.
I vandeani iniziarono la rivolta solo dopo che il regime terroristico attuò misure repressive per il clero e aumentò le tasse per poter sostenere le spese militari. Il ripristino della monarchia rappresentava per i controrivoluzionari vandeani una soluzione per porre fine alla tragica rivoluzione. L’ Esercito cattolico e reale era formato da quei francesi contrari alla rivoluzione e che invece sostenevano la monarchia, in particolare era composto da contadini della cosiddetta “Vandea Militare”, composta dai dipartimenti di Vandea, Loira Atlantica, Maine-et-Loire e Deux-Sèvres. I capi furono scelti tra la nobiltà francese che non era emigrata in altri Stati, per paura della cattura e della ghigliottina, ma che rimase in Francia per cercare di ristabilire la monarchia.
L’ Esercito nacque il 4 aprile 1793, in seguito alla riunione dei principali capi vandeani avvenuta a Chemillé, in seguito alla quale venne scelto come comandante in capo (che verrà chiamato «Generalissimo») Jacques Cathelineau. Da Parigi, intanto, la Convenzione, ordinò la “pulizia etnica” dei “briganti” vandeani. Il simbolo della controrivoluzione vandeana era un cuore sormontato da una croce rossa su campo bianco a simboleggiare i Sacri Cuori di Gesù e di Maria, ai quali i vandeani erano particolarmente devoti grazie alla predicazione di San Luigi Maria Grignion de Montfort; inoltre tale simbolo richiamava anche lo stemma della Vandea, anch’esso formato da due cuori rossi (quelli di Gesù e Maria) sormontati da una corona che termina con una croce e che rappresentare la regalità di Cristo. Il motto era «Dieu Le Roi» («Dio [è] il Re»). L’odio per la profonda Fede religiosa dei vandeani fu la ragione principale della spaventosa repressione e delle stragi indiscriminate. Il Terrore si scatenò contro la Fede e contro contadini che volevano continuare a vivere del loro lavoro e dei loro valori.
Ancora oggi nelle case di Lucs-sur-Boulogne (sul fiume Boulogne), il villaggio dove la memoria è molto forte, è rimasto il simbolo della rivolta vandeana: la bandiera con il cuore e la croce. Le chiese della Vandea sono piuttosto recenti, perché i Blues, i soldati inviati dalla Convenzione di Parigi, ne bruciarono circa 800. La chiesa più piccola di Le Lucs, chiamata «la Chapelle», sorge su un colle un po’ fuori dal paese ed è divenuta monumento storico. Qui, il 28 febbraio 1794, i soldati entrarono nella Chapelle (che sorgeva nello stesso luogo e identica a quella odierna) e spianarono i loro fucili contro più di cento uomini e soprattutto donne e bambini. Le vittime, che pregavano in ginocchio per prepararsi alla morte, vennero trucidati dai rivoluzionari. In tutto il villaggio di Le Lucs i morti furono 563, fra cui 110 bambini al di sotto dei sette anni: oggi i loro nomi sono scolpiti sulle pareti a perenne memoria de «la haine de la foi» («l’odio verso la fede»). Vicino alla Chapelle sorge un museo-memoriale, che venne inaugurato da Solzenicyn il 25 settembre 1993.
Molte furono le vittorie a vantaggio del popolo armato di forche e falci contro le equipaggiate truppe rivoluzionarie. Nantes, strappata «ai borghesi di Parigi», fu tenuta per mesi. Ma proprio Nantes fu spesso teatro degli annegamenti delle persone, essi ebbero inizio alla fine del 1793 e continuarono fino alla primavera del 1794. Responsabile fu soprattutto Jean-Bptiste Carrier, inviato dalla Convenzione di Parigi a praticare la «soluzione finale» del problema vandeano. Le prime tre cosiddette noyades furono rivolte esclusivamente ai preti refractaires (250 circa). Gli storici calcolano che gli annegati furono circa 8000. Quando Carrier tornò a Parigi, dopo gli eccidi, la Convenzione per togliersi la responsabilità dei massacri decise di tagliargli la testa sotto Madame Guillotine.
Il generale Tourreau, invece, mise a ferro e fuoco la regione vandeana da nord a sud e da est ad ovest: i villaggi venivano circondati, la gente radunata e trucidata, infine i soldati incendiavano case ed edifici. Chiaro l’obiettivo: l’olocausto del popolo vandeano era accompagnato alla distruzione di tutto. Scriveva la “Gazette Nationale” riportando la seduta del 17 febbraio 1794: (trascitta il 19, p. 503): “si tratta di spazzare con il cannone il suolo della Vandea e di purificarlo con il fuoco”. Ha spiegato il grande storico del genocidio vandeano Reynald Secher: “Queste rappresaglie non corrispondono dunque agli atti orribili, ma inevitabili, che si verificano nell’accanimento dei combattimenti di una lunga e atroce, ma proprio a massacri premeditati, organizzati, pianificati, commessi a sangue freddo, massicci e sistematici, con la volontà cosciente e proclamata di distruggere una regione ben definita e di sterminare tutto un popolo, di preferenza donne e bambini” (R. Secher, Il genocidio vandeano, Effedieffe Edizioni, Milano 1989, p. 306) per sterminare una “razza maledetta”, termine ripreso da tutti i rivoluzionari, una razza ed una terra considerate irrecuperabili, perciò: “La guerra finirà solo quando non vi sarà più un abitante su questa terra disgraziata” (Archivio storico dell’esercito, B. 58. Lettera del 25 piovoso dell’anno II). I Giacobini gioivano, come risulta dai documenti dell’epoca, nel lasciare sul loro cammino soltanto cadaveri e rovine… perché occorreva “sacrificare tutto alla vendetta nazionale”. Insomma, la volontà di far sparire dalla faccia della terra ogni traccia di un popolo, qualsiasi popolo, contiene in sé la definizione di genocidio.