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    «Non sono un diffamatore, ma ho subito sette processi» – VareseNews

    9 years ago

    Anni di tormenti e lotte giudiziarie contro una delle più potenti procure della repubblica, quella di Palermo, poi le vittorie nei tribunali e in Cassazione dove gli è sempre  stato riconosciuto di non essere un diffamatore.  Tutto è accaduto per avere espresso con franchezza la propria opinione  dopo il suicidio di un leggendario magistrato sardo, al quale Francesco Pintus, allora Procuratore generale a Cagliari, era  legato  da un rapporto di amicizia puramente formale.

    Francesco Pintus  nei vari gradi  di ben sette  processi (quattro di primo grado, due di appello ed uno di cassazione) ha sempre avuto giustizia da colleghi che non conosceva:  per i suoi accusatori, un pool di pubblici ministeri guidati da Caselli, per  la  procura di Palermo una rotta giudiziaria per certi versi accostabile a quella patita nella caccia ad Andreotti.  Una rotta certamente meno nota, ma  nella  sostanza ancora più importante perché si è cercato a tutti i costi  di mettere al tappeto l’imputato Pintus  Francesco nonostante l’esatta definizione dei fatti, dei  chiari e liberatori riscontri  processuali già nei primi due gradi di giudizio. «E’ vero – dice Pintus – non c’era molta confidenza con Luigi Lombardini  che era procuratore capo presso la procura circondariale: ci si salutava  cordialmente  quando occasionalmente  ci si incontrava. Sapevo che era un grande magistrato, un mito della lotta contro la piaga dei sequestri,  sapevo  pure che gli stava stretto il nuovo incarico e  che aveva battaglie in corso  con altri magistrati, ma i nostri ambiti  operativi erano diversi».

    Perché Luigi Lombardini era diventato così famoso in Sardegna? «Perché  sin dagli Anni ‘70 aveva capito  che  per battere i sequestratori  fosse indispensabile una struttura autonoma e centralizzata: in sostanza ha precorso i tempi dell’attuale DIA.  Con un decreto della  Procura Generale di Cagliari Lombardini, allora giudice istruttore,  diventò negli anni sessanta-ottanta il centro motore  di iniziative che ebbero sbalorditivi successi. Anche dopo la riforma degli assetti  giudiziari, che videro Lombardini   tenuto lontano  dal precedente incarico, egli rimase  il primo riferimento in materia di sequestri di persona: infatti lo  consultavano sempre parenti delle vittime, magistrati, carabinieri. Un personaggio scomodo, un carattere forte, nell’ambiente giudiziario non accettato da tutti se ha avuto denunce e  segnalazioni al Consiglio Superiore da parte di  colleghi.

    A completare il quadro ci furono anche  sospetti , cioè le solite “voci” che accompagnano spesso protagonisti di vicende di rilievo, sta di fatto che  un giorno l’inchiesta, per competenza  affidata a Palermo, si concretò con l’aerosbarco  a Cagliari di cinque magistrati,   accompagnati da dieci armati, che  piombarono a Palazzo di Giustizia. Interrogarono per parecchie ore Lombardini registrando  ogni momento  dell’atto giudiziario, poi, quando  tutto sembrava finito, e dopo che il difensore avvocato Concas si era allontanato, i  pm  comunicarono a Lombardini che avrebbero perquisito il suo ufficio. Il procuratore non resse e si suicidò. L’inchiesta  avrebbe  poi appurato che non c’era  nulla a suo carico, che Luigi Lombardini era un galantuomo come  tutti i sardi da anni sapevano».

    E Francesco Pintus esplose due volte: subito dopo il suicidio e dopo i funerali del grande collega. «Ero  stravolto per il dolore, mi espressi con durezza ma  nei  soli confronti dell’azione di magistrati sardi contro Lombardini».

    Però sono stati i  pm siciliani a prendersela con lei. «Con  i pm palermitani ero molto arrabbiato perché avevano agito nel palazzo di giustizia, della cui sicurezza io ero  primo  responsabile, senza informarmi del loro arrivo come  pure da sempre voleva invece la prassi».

    E le valutazioni sull’operato di Caselli? «Furono semplice esercizio del diritto di critica, come ha confermato la Cassazione».

    Che bilancio fa di  questa vicenda l’ex imputato Francesco Pintus? «Positivo per quanto  riguarda  la giustizia, ma molto pesante sotto l’aspetto umano: è stata una grande sofferenza perchè ero certo di non  aver diffamato nessuno, ma la corsa a ostacoli era lunga  e piena di insidie».

    Lei a Varese e per tutta la sua carriera è sempre stato magistrato garantista: proprio da ex ha visto applicati principi che hanno sempre ispirato la sua azione.

    «Dove  mi vuole portare?»

    Magari a concludere la nostra conversazione con qualche considerazione sul sistema giudiziario, i magistrati garantisti e la politica.

    «Mi pare  che  una risposta in qualche misura sia già nella  sua domanda. Ne parleremo un’altra volta, forse».

    «Non sono un diffamatore, ma ho subito sette processi» – VareseNews.