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    Le 4 ragioni del NO al laissez-faire dello Stato a Milano – LeoniBlog

    9 years ago

    E’ bene interrogarsi a fondo, sulla versione ufficiale resa dal Viminale e dal vertice della Polizia su quanto è accaduto a Milano il primo maggio. I settecento travisati che con molotov, bastoni, pietre, petardi, hanno vandalizzato, bruciato e distrutto auto e negozi, avrebbero teso un’astuta trappola alle forze dell’ordine. Che non ci sono cascate. E si sono astenute da interventi diretti per evitare le violenze per milioni di euro a privati, perché sarebbe stato molto peggio. L’inaugurazione di EXPO non meritava di essere macchiata, ha detto il capo della Polizia. E lo scrittore anti-camorra Roberto Saviano, commentando in un video, ha espresso per così dire l’interpretazione autentica della versione ufficiale resa dallo Stato: le violenze ai privati sono state un “prezzo necessario”, ha detto, ed è “un grande cambiamento” nella gestione della sicurezza pubblica, che finalmente si sia capito che questo è il modo giusto per trattare i black bloc che s’insinuano nei cortei.

    Il grande cambiamento renderebbe possibile finalmente a tutti comprendere che i violenti non hanno nulla a che vedere con chi protesta contro mercato e imprese e governi. Certo i danni a privati sono stati “terribili” anche per Saviano. Che ha aggiunto che quei proprietari di negozi e auto sono “spesso innocenti”: e quello “spesso” significa inevitabilmente che, insomma, non proprio tutti meritano di essere considerati innocenti davvero. Col sottinteso che forse, se vai a vedere bene, chissà quanti di loro se negozianti pagano davvero tutte le tasse, o se hanno un Audi se non sono dei corrotti.

    Con tutto il rispetto dovuto e necessario per il Viminale, il capo della Polizia e Saviano, una cosa va detta con altrettanta chiarezza. A noi non pare accettabile in nessun modo una simile concezione della legalità. Per almeno quattro ragioni: una riguarda la storia, la seconda i fatti di Milano, la terza le conseguenze, la quarta è invece culturale (e, forse, dovrebbe venire prima delle altre).

    Il fattore storico ha il suo peso. Dopo la recente condanna dell’Italia alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per i fatti della Diaz a Genova nel 2001, è ancor più evidente a chiunque che le forze dell’ordine italiane devono attenersi a procedure e regole d’ingaggio di manifestanti in caso di violenze rigorosamente rispettose di princìpi e limiti coerenti a un ordinamento democratico, e strettamente correlati alla proporzione della forza, e alla valutazione delle sue conseguenze su persone e cose. Detto ciò, l’alternativa ai vergognosi fatti di Genova non è limitarsi agli idranti a distanza, e per il resto stare a guardare. E’ inaccoglibile l’obiezione di chi difende l’operato delle forze dell’ordine a Milano fondata su “ma cosa volete, il bis di Genova?”. Una moderna cultura della sicurezza pretende che, di fronte al fenomeno dei black bloc, il coordinamento di polizie e intelligence tragga da ogni episodio nuove lezioni da mettere in comune, su come preventivamente identificare ed espellere i violenti, e su come fronteggiarli nelle strade. No, non si può restare a guardare.

    Quanto ai fatti di Milano, la trappola tesa dai devastatori sarebbe stata di voler attirare polizia e carabinieri fuori dai presìdi fissi da garantire in centro città e all’EXPO, per forzare poi qualcuna della “aree rosse” che andavano prioritariamente preservate. E’ una tesi apparentemente logica. Ma fa acqua. Se dovesse essere presa alla lettera, significa che d’ora in poi le forze dell’ordine preservano le autorità e i palazzi del potere, e per il resto devastazioni e violenze a privati sono invece da mettere in conto. Perdonateci, ma i cittadini pagano le tasse allo Stato per altro, non per sentirsi dire e subire cose simili. Poiché EXPO dura sei mesi, non può essere questo il segnale che le autorità danno a centinaia di migliaia di milanesi, ciascuno impegnato a fare in modo che EXPO sia una straordinaria occasione economica di ripresa per l’intera Italia.

    Le conseguenze sono presto dette. I black bloc italiani ed europei studiano e approfondiscono a ogni loro “impresa” le falle delle procedure delle forze di polizia. Se dopo Milano passa il messaggio che in Italia d’ora in poi gli apparati dello Stato si accontentano di tenere circoscritte in alcune aree delle città devastazioni e violenze che vengono però lasciate perpetrare, ebbene per loro è una straordinaria vittoria. E’ quello che vogliono. Non è proprio il caso che ci possano contare.

    Infine, è necessaria qualche parola sulla cultura della violenza. Nella politica del nostro paese, dagli anni ’70 ha giocato un ruolo pesante e sanguinoso. Negli ultimi anni, abbiamo di fatto circoscritto il terrorismo agli ultimi assassini di giuslavoristi riformisti caduti sotto il piombo, e naturalmente alla matrice islamica. Rifiutiamo di considerare terrorismo le nuove forme di violenza politica. Basti pensare al Tribunale del riesame di Torino che respinge la tesi della Procura, per la quale gli assalti e i sabotaggi dei No TAV ai cantieri siano terrorismo. E alla simpatia maggioritaria che va a Erri de Luca per il suo invito a sabotare, libera manifestazione di un pensiero “antagonista” che nulla ha a che vedere con gli effetti che invita a porre in essere. Siamo diventati un ben singolare ordinamento penale: ci inventiamo sempre nuove forme di concorso esterno a gravissimi delitti associativi con pene durissime, ma mandiamo in onda in tv ore di falò di negozi e auto convinti che le forze dell’ordine siano nel giusto a non intervenire.

    In verità, un paese che non ha la sicurezza penale di continuare a definire terrorismo tutte le nuove forme violente volte all’intimidazione di massa, è un paese che non ha la minima certezza storica dei limiti da porre – sempre – a qualunque tipo di violenza nel dibattito e nel confronto pubblico. E’ una gravissima lacuna culturale: quel giovane che tutti avete visto in tv, esaltato per la bellezza della devastazione che poteva compiere, è il figlio di questo abisso culturale italiano.

    Per tutte queste ragioni, non possiamo che augurarci che politica e forze dell’ordine correggano l’autoassoluzione compiaciuta che si sono impartiti a Milano, liquidando i fati come compiuti “da quattro figli di papà” come ha detto incredibilmente il premier. Viva i cittadini che senza proteste si sono messi alacramente a riparare a spese proprie i danni. Danni avvenuti senza che lo Stato abbia saputo e voluto impedirli. Ma di qui a dire che un buono Stato esiste per questo fine, diciamo che ce ne corre come tra il giorno e la notte.

    via Le 4 ragioni del NO al laissez-faire dello Stato a Milano – LeoniBlog.