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    Ryanair batte Alitalia, ovvero la rivincita del mercato | L’intraprendente

    9 years ago

    Ryanair-Michael-OLeary

    Chissà a che velocità folle avvengono i sorpassi in volo, di sicuro devono essere una scarica mica male di adrenalina. Se ne saranno accorti i dirigenti di Ryanair che, ad ali spiegate e senza mettere la freccia, hanno sorpassato la compagnia aerea diretta concorrente, Alitalia, per numeri di passeggeri. Dal rapporto Enac presentato ieri in Senato risulta infatti che nel 2014 il vettore irlandese ha trasportato 2,7 milioni di persone in più rispetto all'(ex) compagnia di bandiera italiana. In sostanza, 26,1 milioni di passeggeri, contro i 23,4 di Alitalia e i 13,4 di Easy Jet.

    Il nuovo ad di Alitalia, Silvano Cassano, ha subito giocato a fare lo snob, o forse la volpe che non ha raggiunto l’uva, sottovalutando questi numeri, sostenendo che «questo non è un primato che ci interessa. Noi desideriamo sviluppare i collegamenti di lungo raggio» e alludendo ai vettori della compagnia rivale come a degli «autobus».

    Be’, che dire, noi tra gli airbus dalla nuova livrea e il logo accattivante di Alitalia-Etihad e gli “autobus” di Ryanair, continuiamo a preferire i secondi. E non perché abbiamo smesso di essere italiani (si sono visti, d’altronde, i disastri prodotti dall’eccessivo amore per la compagnia di bandiera) né perché il nostro patriottismo sentimentale si è sbiadito, passando dal rosso della bandiera italiana all’arancione di quella irlandese.

    Ma noi continuiamo a volare Ryanair perché il suo successo indica il trionfo della libera impresa sul capitalismo di Stato, la vittoria della capacità di sviluppare strategie commerciali per essere competitivi  sull’adagiarsi mollemente sugli aiuti pubblici, tenendo in vita un baraccone inefficiente. Ryanair, nome palindromo che è quasi un’andata e ritorno (letto al contrario, diventa Rianayr), logo di una compagnia che quest’anno compie trent’anni, è cresciuta enormemente proprio grazie all’assenza di vincoli statali ed europei nel traffico aereo, sfruttando la cosiddetta deregulation delle compagnie di volo: ai tempi, nel 1985, era sufficiente che un solo governo desse l’ok a un volo nell’Ue, perché la prima tratta fosse realizzata (e indovinate quale fu il primo premier ad approvare i voli Ryanair? Margaret Thatcher).

    Viceversa Alitalia, che di anni ne ha quasi 70 (è nata nel settembre 1946), è l’esempio di una società che offre un servizio, ma allo stesso tempo fa profitto, avvalendosi di soldi pubblici. A lungo impresa di Stato, doveva essere privatizzata e venduta a una compagnia straniera già nel 2006, visto il suo stato di crisi; almeno fino a che Berlusconi non ha deciso di mantenerla “italiana”, avvalendosi di una compagnia di “capitani coraggiosi”, ossia imprenditori alla guida di società per lo più partecipate dallo Stato. Doveva essere la salvezza, statalista e nazionalista, della compagnia: fu la sua fine. In sei anni di gestione, il Cai (Compagnia Aerea Italiana, questo il nome della cordata made in Italy) ha accumulato un buco di circa 2 miliardi e mezzo di euro: soldi che, naturalmente, abbiamo pagato noi, senza neppure volare. Anche ora che, fortunatamente, è stata ceduta per metà agli arabi di Etihad e mantenuta, per l’altra metà, in forma sostanzialmente privata dalla nuova Alitalia – Società Aerea Italia S.p.a., il carrozzone volante del nostro Paese continua ad avvalersi degli aiuti pubblici, che coprono le spese per pagare i circa 3000 cassintegrati (di lusso!), richiesti come esuberi dagli emiri per prendersi la metà della compagnia.

    Insomma, checché ne dicano Renzi e i nuovi vertici della società, Alitalia pesa ancora, e molto, sulle nostre tasche. A questo proposito, Ryanair continua a farsi preferire anche perché, con i suoi prezzi accessibili, consente davvero a tutti di viaggiare. Ai suoi “low cost low fares”, come recita lo slogan (cioè, bassi costi e basse tariffe) si somma la puntualità dei voli (“over 90% of flights landed on time”, il 90% dei suoi voli arrivano in tempo, se non in anticipo, recita un altro slogan). Il suo essere “low”, dunque, non coincide il suo essere “slow” (lento). Anzi.

    E vabbè che chi parte da Milano deve farsi una scarpinata fino a Bergamo-Orio al Serio per poter prendere l’aereo Ryan. Ma il risparmio val bene una navetta e una levataccia. E di questi tempi non è un aspetto da sottovalutare.

    P.S. Una sola richiesta, Mr O’ Leary, capo di Ryanair. Sui voli della sua compagnia, non sarebbe possibile invitare i suoi stewart e le sue hostess a tacere ogni tanto, evitando che ci molestino con continue proposte di vendita, dal panino col formaggio, al profumo Chanel, al grattaevinci milionario? Sa com’è, sfrutterei quel silenzio e quel tempo di volo, per farmi un pisolino nella tratta. E sarebbe una buona ragione in più per continuare a viaggiare con voi.

     

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