Hillary intima la resa: “Ho vinto”. Ma Sanders resiste: “È un trucco” – IlGiornale.it
8 years ago
Alla vigilia del voto cruciale in California la Clinton tiene un ispirato discorso per celebrare la sua vittoria. Il rivale non ci sta: «Calcolo dei delegati disonesto»
Due fatti inediti nella storia degli Stati Uniti: Paul Ryan, presidente del Congresso, repubblicano come Donald Trump, boccia il candidato del suo partito dandogli del razzista, anche se aggiunge di sostenerlo obtorto collo perché in fondo meglio lui che la Clinton.
Un secchio di ghiaccio nel collo di Donald Trump. Il secondo fatto è che la candidata (per ora sedicente) democratica Hillary Clinton si dichiara vincitrice della corsa verso la convention, ma il suo concorrente Sanders nega e non le concede la vittoria: «Faremo i conti alla Convention, non prima». Partiamo da questo secondo fatto. Due scenari. Nel primo Hillary Clinton, con voce elettrizzata come se dovesse annunciare di essere incinta, annuncia il suo gaudium magnum: «Sono veramente eccitata nel darvi questo annuncio storico: ho raggiunto il numero di delegati necessari per essere nominata candidata ufficiale alla Casa Bianca. Invito quindi il senatore Sanders a riunirsi con me per la vittoria da democratica». Bernie Sanders, canuto senatore e primo socialista nella storia delle presidenziali americane ringhia con una voce arrochita ed esausta: «Ma quanta fretta! L’ex segretario di Stato Hillary Clinton dimentica di dire che nel numero dei delegati di cui vanta l’appoggio include anche i super delegati che non sono stati mai eletti. Come voteranno questi super delegati? Lo scopriremo alla Convention. Non ora. La partita va avanti, non mi ritiro».
Nota per il lettore meno informato di cose americane. Il Partito Democratico, a differenza di quello Repubblicano, ha due tipi di delegati per designare il candidato ufficiale alla Casa Bianca. Il primo gruppo è formato dagli eletti nelle primarie e nei caucus secondo le regole, spesso stravaganti, di ogni singolo Stato. Il secondo tipo è quello che da noi chiameremmo dei funzionari di partito, delle eccellenze del passato come il marito della candidata Clinton – di sindacalisti, intellettuali e capibastone del voto popolare. È questa specie di «soviet supremo» del partito democratico che decide chi ammettere e chi lasciar fuori dalla corsa per la Casa Bianca. Bernie Sanders ha avuto l’onore di correre, ma come elemento decorativo e allo scopo di mantenere unito il voto dell’estrema sinistra che detesta Hillary. Ma il candidato del «soviet» è proprio lei: l’ex First Lady coinvolta e travolta nello scandalo delle leggerezze sessuali di suo marito, accusata di avere un carattere infernale (lo scrisse in un bellissimo libro di memoirs l’ex presidente Richard Nixon che era l’ospite segreto delle cene alla Casa Bianca) e di aver trattato come «cose» le donne molestate dal marito, intimidendole, pagandole o facendo accordi poco onorevoli. Questo comportamento ha mandato in bestia le femministe americane che se ne infischiano se la Clinton potrebbe essere la prima donna alla Casa Bianca, ma vorrebbero invece la sua testa su una picca. Inoltre Trump l’accusa ogni giorno di essere responsabile del disastro di Bengasi che portò alla morte del console americano, e di alto tradimento per aver usato un server di posta privato su cui viaggiavano i segreti della politica estera americana.
Trump bastona Hillary e non Sanders che ha deciso di non prendere nemmeno in considerazione. Sanders, ebreo di origine ucraina che somiglia vagamente a Woody Allen o al defunto filosofo inglese Bertrand Russell, è stato ingaggiato dallo stato maggiore del partito democratico come ruota di scorta e col patto tacito che si sarebbe levato dalle scatole nel momento in cui Hillary avesse raggiunto il quorum dei sostenitori alla Convention, sia eletti che grandi elettori o super delegati. L’intesa era che Sanders si sarebbe dovuto ritirare quando glielo avessero richiesto. E glielo hanno chiesto proprio adesso. Ma Sanders nel frattempo ci ha preso gusto e si è convinto di essere il messia socialista americano: i successi travolgenti presso la classe bianca intellettuale e i giovani («fidatevi soltanto di chi ha meno di quarant’anni, o di me») l’hanno convinto di essere il candidato perfetto per quella rivoluzione americana in senso sociale ed economico che i giovani chiedono. E adesso rifiuta di mollare l’osso. Per cercare di ridurlo a più miti consigli una delegazione del partito è andata da lui a supplicarlo di non spaccare l’elettorato democratico, ma si sono trovati di fronte ad un no deciso. C’è di più. Sanders allude spesso a suoi conciliaboli segreti con alcuni super delegati, o grandi elettori, ai quali ha posto la questione più brutale: «Preferite perdere con Hillary o vincere con me?».
Qualcosa di analogo, ma più plateale e visibile, è accaduto nel partito repubblicano dove Paul Ryan, presidente del Congresso e quindi figura di massimo spicco, ha detto che le ha provate tutte. Ha parlato con Trump, ha discusso dei grandi temi politici e ha dovuto constatare che nei termini attuali l’unità del partito non c’è. Dunque, democratici e repubblicani sono spaccati fra loro ed annaspano per trovare il bene prezioso e perduto: l’unità del partito. Domani sapremo cosa sarà successo delle primarie californiane e del New Jersey, fra gli altri Stati. Se Sanders dovesse vincere a mani basse, la Clinton rischia davvero il licenziamento in tronco.
Hillary intima la resa: “Ho vinto”. Ma Sanders resiste: “È un trucco” – IlGiornale.it.