Come vostro estimatore e lettore dalle origini, visto il titolo della rubrica lettere nel merito degli articoli di Feltri e Giordano, mi chiedo: ma la posizione della direzione di Libero verso il referendum costituzionale è per il sì o per il no?
Mario Neri da Belluno
Caro Neri, non so cosa pensi la direzione di Libero, so che cosa pensa Maurizio Belpietro che fino a questa sera di Libero è il direttore. Io sono per il No e per un motivo molto semplice: perché la riforma costituzionale su cui gli italiani sono chiamati a pronunciarsi non è equilibrata ma pende tutta a favore di Renzi. Non sono mai stato tra coloro che difendevano a spada tratta la nostra Carta, né l’ ho mai definita come alcuni «la più bella del mondo». Le mie opinioni al riguardo coincidono con quelle di Indro Montanelli, quando Montanelli era Montanelli e non era ancora stato roso dal tarlo dell’ anti-berlusconismo. Credo che la Costituzione sia il frutto di un brutto compromesso e la si debba rendere più moderna e efficiente, togliendole alcuni orpelli ideologici di cui ridonda. Tuttavia penso anche che non si fa la riforma della Costituzione contro qualcuno, né la si fa per consolidare o conservare il potere di qualcuno. E invece la riforma voluta da Renzi punta proprio a questo. Anzi: punta solo a questo. Non a risparmiare, non a velocizzare i processi decisionali, ma a consentire che le sue decisioni non incontrino gli intralci del Parlamento. Renzi si è fatto una Costituzione su misura, dopo essersi fatto una legge elettorale su misura, con la quale deciderà lui, capo del governo e capo del Pd, chi far sedere a Montecitorio. L’ uomo è pericoloso per come gestisce il potere, per come lo occupa e per come lo usa contro gli avversari. Con in mano una Costituzione che gli assegna pieni poteri lo sarà ancora di più.
Sono cresciuto in un’ epoca in cui la sinistra viveva con l’ ossessione del golpe, convinta che i fascisti e la Cia preparassero un colpo di Stato. L’ ossessione del putsch non mi sfiorava allora e non mi sfiora ora. Quello che Renzi prepara non è un golpe. Il presidente del Consiglio sta solo apparecchiando una dittatura democratica, dove le forme della Repubblica sono rispettate, ma a Palazzo Chigi governa un monarca. La dissidenza non è contemplata e neppure la critica. Qualcuno dice però che Silvio Berlusconi si è reso colpevole di aver approvato la riforma, almeno all’ inizio, prima di rendersi conto che il patto del Nazareno in realtà era un pacco. E dunque accusa il Cavaliere di giravolta. E allora? Chi non fa capriole in politica?
Per non dire sui giornali. Come girafrittate il premier è un campione e non bisogna fare sforzi per averne prova: è sufficiente rileggersi ciò che ha detto l’ altro ieri quando ha accusato l’ opposizione di personalizzare contro di lui il referendum e quanto lo stesso Renzi dichiarava un paio di settimane fa. È il capo del governo ad aver trasformato il plebiscito di ottobre in un plebiscito su di lui, ma ora preferisce sostenere che siano stati gli altri. Del resto, non si fa politica se non si sa raccontare un certo numero di bugie. Nel caso del presidente del Consiglio per elencarle tutte serve un’ Enciclopedia, ma tutti ricordano – anche perché lo scrisse in un libro – che non si sarebbe candidato alla segreteria, salvo poi farlo qualche mese dopo….
Soprattutto, non c’ è chi abbia dimenticato come la settimana prima di fargli le scarpe disse a Enrico Letta di stare sereno.
Lasciamo però perdere contraddizioni e menzogne, il fine che giustifica i mezzi, e restiamo al punto. Negli anni Novanta, dopo la vittoria dell’ Ulivo, Silvio Berlusconi si sedette al tavolo delle riforme con Massimo D’ Alema. Era un Cavaliere indebolito dalle inchieste giudiziarie, dalla caduta del suo governo, dalla rottura con la Lega e dalla sconfitta elettorale. In molti, anche nel suo entourage, lo esortarono per salvarsi a fare l’ accordo con l’ allora presidente della Bicamerale. Non si parlava di patto del Nazareno ma di patto della Crostata: il presidente dei Ds assicurava una specie di salvacondotto giudiziario, con una riforma che mettesse a cuccia i pm, Silvio in cambio votava la riforma che doveva garantire a D’ Alema la sua definitiva consacrazione come statista. Finì come è noto: con Berlusconi che mandò al diavolo l’ accordo e la maggior parte di quelli che gli stavano intorno lo giudicò matto. In realtà, rompendo il giocattolo di Baffino, il Cavaliere in qualche modo provocò tutto ciò che venne dopo: la caduta di Prodi, la fine dell’ Ulivo, la disfatta della sinistra.
Oggi come allora, l’ operazione si può ripetere. Basta crederci. Basta votare No e la dittatura democratica di Renzi non andrà in porto, perché «Se salta il referendum non salta solo il governo. Salto io, e si chiude la mia storia politica».
Non l’ ho detto io, lo ha detto Renzi. Se lo si desidera, lo si può accontentare.
Ps. Questo è il mio ultimo articolo per Libero. L’ editore ha deciso un avvicendamento alla guida del vostro quotidiano. Come in ogni giornale, l’ editore è sovrano e io mi faccio da parte.
Maurizio Belpietro