Corporativismo – Wikipedia
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Il corporativismo è un tipo di organizzazione sociopolitica di una società sulla base dei gruppi di maggiori interessi, o “corpi sociali”, cioè le associazioni intermedie tra cittadino e autorità politica che formano la società civile, come gruppi su base agricola, affaristica, etnica, del lavoro, militare, scientifica, sulla base di interessi comuni.[1] Dal punto di vista teorico, il corporativismo è basato sull’interpretazione di una comunità come un corpo organico.[2][3] Il termine “corporativismo” (dal latino corpus) in senso proprio deriva dalle corporazioni delle arti e mestieri, che controllavano la vita cittadina in molti liberi comuni dell’Italia medievale: il termine intende richiamare i cosiddetti “corpi sociali”. Nel 1891 il corporativismo venne richiamato dall’enciclica Rerum Novarum, in un’ottica cattolica. Il corporativismo fu una dottrina propria anche del fascismo, codificata nella Carta del Lavoro del 1927 e poi sviluppata. Il corporativismo regolò la vita economica e sindacale italiana durante il fascismo prima e la Repubblica Sociale Italiana poi, in ottica di collaborazione di classe, nel dichiarato intento del regime di creare una “terza via” tra capitalismo e marxismo per la risoluzione dei conflitti tra le classi sociali.
Italia, 1922-1943
« Chi dice lavoro, dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime ma tutela di tutti gli interessi che armonizzano con quelli della produzione e della nazione » |
(Dal discorso pronunciato in parlamento il 16 novembre 1922 da Benito Mussolini) |
Una volta consolidato il proprio controllo politico sull’Italia, il Fascismo assunse l’iniziativa anche in campo economico-sociale, con l’intento di adottare una soluzione che comportasse il superamento dei problemi economico-finanziari dell’epoca e l’obsolescenza tanto del liberalismo quanto del socialismo marxista. La nuova ricetta che avrebbe dovuto, tra l’altro, consentire di eliminare la lotta di classe con la sua conflittualità sociale e il danno da essa recante allo sviluppo economico, fu il “corporativismo”: lavoratori e datori di lavoro furono associati all’interno di un’ampia gamma di corporazioni, corrispondenti alle varie attività economiche, poste sotto il controllo del governo e riunite nella “Camera dei Fasci e delle Corporazioni“. A causa dell’origine sindacal-rivoluzionaria del Fascismo (in cui rientra Filippo Corridoni che, nel pamphlet Sindacalismo e Repubblica, indicò la socializzazione delle imprese come obiettivo ultimo della nascente “Sinistra Nazionale”), Mussolini trovò opposizione nelle sue riforme economiche da parte delle forze più conservatrici dello Stato quali la monarchia, i pensatori conservatori e la Chiesa. Lo Stato corporativo rappresentò, nella visione di Enrico Corradini e di Ugo Spirito, la destra idealista di stampo hegeliano. Lo Stato corporativo applicò, nel mondo delle attività commerciali e produttive, il precetto mussoliniano secondo cui “l’individuo non esiste se non in quanto è nello Stato e subordinato alla necessità dello Stato”. Spettava quindi allo Stato, per mezzo delle corporazioni, definire quale fosse la “giusta mercede” invece di affidarsi al meccanismo della domanda e dell’offerta, scardinando completamente il liberismo economico (a differenza del quale è la “Corporazione proprietaria“, cioè l’azienda socializzata, a decidere i prezzi) e guidando l’economia ai superiori interessi dello Stato. Ciò senza cadere nella burocratizzazione livellatrice del bolscevismo, ma utilizzando la tassazione come mezzo di pianificazione. Secondo Benito Mussolini, il corporativismo “è la pietra angolare dello Stato fascista, anzi lo Stato fascista o è corporativo o non è fascista”.[4]
« 7. – Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, è coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica. È contro il liberalismo classico, che sorse dal bisogno dì reagire all’assolutismo e ha esaurito la sua funzione storica da quando lo Stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolare. Il liberalismo negava lo Stato nell’interesse dell’individuo particolare; il fascismo riafferma lo Stato come la realtà vera dell’individuo. E se la libertà dev’essere l’attributo dell’uomo reale, e non di quell’astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo individualistico, il fascismo è per la libertà. È per la sola libertà che possa essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell’individuo nello Stato. Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e Io Stato fascista, sintesi e unità dì ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo. |
8. – Né individui fuori dello Stato, né gruppi (partiti politici, associazioni, sindacati, classi). Perciò il fascismo è contro il socialismo che irrigidisce il movimento storico nella lotta di classe e ignora l’unità statale che le classi fonde in una sola realtà economica e morale; e analogamente, è contro il sindacalismo classista. Ma nell’orbita dello Stato ordinatore le reali esigenze da cui trasse origine il movimento socialista e sindacalista, il fascismo le vuole riconosciute e le fa valere nel sistema corporativo degli interessi conciliati nell’unità dello Stato. 9. – Gli individui sono classi secondo le categorie degli interessi; sono sindacati secondo le differenziate attività economiche cointeressate; ma sono prima di tutto e soprattutto Stato. lì quale non è numero, come somma d’individui formanti la maggioranza dì un popolo. E perciò il fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più; ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è concepito, come dev’essere, qualitativamente e non quantitativamente, come l’idea più potente perché più morale, più coerente, più vera, che nel popolo si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà di tutti. […] 10. – Questa personalità superiore è bensì nazione in quanto è Stato. Non è la nazione a generare lo Stato, secondo il vieto concetto naturalistico che servi di base alla pubblicistica degli Stati nazionali nel sec. XIX. Anzi la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un’effettiva esistenza. […] » (Benito Mussolini, La dottrina del fascismo, Treves, Treccani, Tumminelli, Milano-Roma 1932) Il meccanismo corporativo subisce comunque molteplici cambiamenti in via di applicazione: condizione giuridica e competenze delle corporazioni vengono modificate con una serie di leggi e disposizioni che si succedono con scadenza poco meno che annuale. Un’importante legge dell’aprile 1926 proibì scioperi e serrate, istituendo una speciale magistratura del lavoro. Il 2 luglio dello stesso anno fu creato il nuovo Ministero delle Corporazioni. Le sue attribuzioni risultarono piuttosto ampie: esso infatti non solo ebbe competenze sul controllo e sulla regolamentazione dei salari e delle condizioni del lavoro, ma anche sull’alta direzione dell’intera economia nazionale. Lo stesso Mussolini nel dicembre del 1926 si dichiarò convinto di poter realizzare, attraverso il meccanismo corporativo, la mobilitazione civile ed economica di tutti gli italiani.
Nell’aprile del 1927 fu pubblicata la Carta del lavoro, salutata come il documento fondamentale della rivoluzione fascista. Secondo il suo autore principale, Giuseppe Bottai, grazie a questa carta l’Italia si trovò ad essere il paese più avanzato del mondo nel campo della legislazione del lavoro. Con essa fu istituito il tribunale del lavoro, col compito di giudicare i conflitti fra capitale e lavoro al di fuori delle rivendicazioni violente di tutte le classi sociali, in quanto non tollerando lo Stato nessuna forma di giustizia privata, sia in campo civile che penale, questa sarebbe stata vietata anche sul luogo di lavoro (decisione in cui rientrano i divieti di scioperi e serrate, già ribaditi in precedenza). Con legge n. 206 del 20 marzo 1930, il Consiglio Nazionale delle Corporazioni, già istituito con regio decreto del 2 luglio 1926, divenne organo costituzionale e fu inaugurato il 22 aprile dello stesso anno. Il 19 gennaio 1939 venne istituita la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che sostituiva la Camera dei deputati, e tenne la sua seduta inaugurale il 23 marzo dello stesso anno. A questo si aggiunse l’imponente legislazione sociale del fascismo, di cui ricordiamo, per completezza, solo alcuni provvedimenti molto importanti:
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Repubblica Sociale Italiana, 1943-1945
Durante la Repubblica sociale italiana (RSI), con la fuga di parte della componente capitalista e plutocratica, si ebbero nuovi tentativi di rivoluzionare il sistema economico. Se il corporativismo inserito in un’ottica sociale di interessi divergenti tra proprietari e dipendenti appare utopistico e demagogico, diversa è la situazione in un sistema economico aziendale socializzato, nel quale tutti hanno uguali diritti e doveri, senza padroni e dipendenti. In questo caso il corporativismo funge da organo facente le funzioni del padrone, non più esistente come soggetto privato, sostituito adesso da un’assemblea di tutti i lavoratori che, al tempo stesso, possiedono e lavorano nell’azienda stessa. La quale cosa, è, in definitiva, il corporativismo.
« I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero “di sinistra”; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un’alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio » |
(Benito Mussolini, Milano, 22 aprile 1945[5]) |
Il Decreto del Capo della Repubblica n. 853 del 20 dicembre 1943 costituiva la Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti (C.G.L.T.A.) come la base del sistema corporativo della Repubblica Sociale Italiana. Suo scopo era di essere un contenitore organizzativo di tutte le singole corporazioni, rifondate sulla base delle nuove regole stabilite nel Congresso di Verona. Secondo queste regole, le corporazioni avrebbero rappresentato ognuna un settore produttivo, secondo lo schema già esistente, e avrebbero rappresentato ogni ambito produttivo e, indirettamente, ogni lavoratore secondo una logica organicistica, in previsione della creazione della “democrazia organica“. La concezione dello Stato corporativo risponde alla necessità di superare i limiti dello Stato liberale e dello Stato socialista. Lo Stato fondato sul corporativismo è di difficile attuazione nella sua forma più pura, in quanto rappresenta l’ideale stato della società civile in cui i governanti appartengono ad una categoria del tutto avulsa dalla produzione: non è la classe dirigente dello Stato liberale né di quello Socialista. La classe dirigente del sano Stato corporativo deve essere super partes. In caso contrario si trasformerebbe nella cinghia di trasmissione degli interessi della classe dominante. Ciò implica l’impossibilità di attuare uno Stato pienamente corporativo in un contesto democratico, in quanto la democrazia prevede ancora l’esistenza della lotta di classe. In Italia, la prima nazione in cui si tentò l’applicazione dello Stato corporativo, le guerre di aggressione precedenti il secondo conflitto mondiale infransero l’esperimento in una fase cruciale, causando l’isolamento internazionale dovuto alle sanzioni economiche e all’autarchia. Negli Stati Uniti il tentativo di introdurre lo Stato corporativo viene fatto risalire al National Industrial Recovery Act (NIRA) e alla National Recovery Administration (NRA), che aveva il compito di sovraintendere alla stesura delle norme di concorrenza leale. La NRA aveva sorprendenti affinità con il sistema fascista di organizzazione industriale in Italia, sebbene senza la brutalità e i metodi di stato di polizia di quest’ultimo. La NRA era sostanzialmente un sistema di pianificazione economica privata (“autogoverno industriale”), con supervisione governativa. Il 27 maggio 1935 la NRA fu dichiarata incostituzionale dalla Corte suprema[6]. Sostanzialmente, la stesura del codice sulle “norme di concorrenza leale” da parte della NRA rappresentava una delega incostituzionale del potere legislativo in violazione della Commerce Clause. Nello storico suo discorso del 14 novembre 1933[7] al Consiglio nazionale delle Corporazioni, Benito Mussolini dichiarò:
« il corporativismo è l’economia disciplinata, e quindi anche controllata, perché non si può pensare a una disciplina che non abbia un controllo. Il corporativismo supera il socialismo e supera il liberismo; crea una nuova sintesi » |
. “Stato corporativo” non significa soltanto Stato fondato sulle “Corporazioni”: “Stato corporativo” e “Stato fascista” sono termini equivalenti, poiché, come affermò Benito Mussolini: “lo Stato fascista è corporativo, o non è fascista”. Non si deve credere quindi che il corporativismo sia soltanto l’insieme delle istituzioni che hanno il fine di regolare i rapporti fra i datori di lavoro e i lavoratori. Questa è solo una parte del corporativismo. Il corporativismo non regola solamente la questione sociale, ma è un nuovo sistema di organizzazione, di vita e di attività della collettività nazionale e dello Stato nel campo economico e politico. Il corporativismo è un nuovo ordinamento dello Stato in cui tutte le forze politiche e tutti gli organi vengono fatti convergere verso il maggiore potenziamento e verso il massimo benessere della collettività, sulla base di un’unica sovranità: quella dello Stato. È una nuova organizzazione della nazione in cui le attività degli individui e dei gruppi sociali sono sempre subordinati ai superiori fini nazionali. In altri termini, lo Stato è corporativo (e quindi fascista) non solamente in campo economico, ma pure nel campo costituzionale, amministrativo e politico. Il concetto di “Stato corporativo” non è unicamente un concetto politico ma è altresì ed essenzialmente un concetto giuridico che riguarda la struttura dello Stato medesimo. In conclusione, lo Stato corporativo fascista si chiama così non perché sia fondato soltanto sulle corporazioni, ma perché è uno Stato nel quale l’organizzazione, la vita e l’attività economica, sociale e politica sono fondate sul corporativismo.[8] Una riproposizione in chiave moderna del concetto giuridico del corporativismo è rappresentato nella storia recente dell’Italia dalle cosiddette Autorità amministrative indipendenti. La questione del corporativismo giuridico nelle istituzioni europee è ben riassunto nella interpellanza 09.3256 del 20 marzo 2009 al Consiglio federale svizzero e relativa risposta del 3 marzo 2010[9][10]. Il concetto di fondo si basava sulla diversa concezione che la dottrina fascista aveva del rapporto tra l’uomo, lo Stato e l’economia. I precedenti governi liberali ritenevano che lo Stato dovesse limitarsi a garantire le libertà individuali con l’ordine, assistendo indifferenti a scioperi e serrate, senza considerare il fatto che, anche se tali lotte interessavano solo singole categorie, tutta la nazione riceveva comunque un danno. Il fascismo partì invece da un principio del tutto opposto. Esso considera i cittadini non come entità particolari, ma altresì organiche di un tutto che è lo Stato, affermando quindi che il dovere dello Stato è di intervenire per mantenere non solo l’ordine, ma anche la giustizia e la pace sociale tra le diverse classi. Questo perché ritiene che l’interesse supremo sia non quello dell’individuo, quanto quello nazionale. A questo proposito tutti i cittadini vennero inquadrati all’interno di sindacati, suddivisi in base alle affinità professionali e giuridicamente riconosciuti come organi dello Stato stesso. I vari sindacati fascisti rappresentano quindi una determinata categoria di persone, che esercita una certa attività produttiva e che stipula contratti collettivi di lavoro, che acquistano valore per tutta la categoria stessa. I sindacati si raggruppavano in tre confederazioni: A questo livello datori di lavoro e lavoratori erano separati dalla tutela dei rispettivi interessi ma, siccome la priorità va all’interesse collettivo, i rappresentanti dei vari sindacati fascisti (sia dei datori che dei lavoratori quindi) si riuniscono nelle corporazioni, che comprendono tutti i fattori di produzione. La legge del 5 febbraio 1934 stabilì le 22 corporazioni:
- Cereali
- Orto-floro-frutticoltura
- Viti-vinicola e olearia
- Zootecnia e pesca
- Legno
- Tessile
- Abbigliamento
- Siderurgia e metallurgia
- Meccanica
- Chimica
- Combustibili liquidi e carburanti
- Carta e stampa
- Costruzioni edili
- Acqua, gas ed elettricità
- Industrie estrattive
- Vetro e ceramica
- Comunicazioni interne
- Mare e aria
- Spettacolo
- Ospitalità
- Professioni e arti
- Previdenza e credito[11]
All’interno di esse, i sindacati si distribuiscono secondo il ciclo produttivo: ogni corporazione comprende infatti tutti i sindacati di ogni ramo di produzione, andando a formare tre gruppi:
- a) Corporazioni a ciclo produttivo agricolo, industriale e commerciale
- b) Corporazioni a ciclo produttivo industriale e commerciale
- c) Corporazioni per le attività produttrici di servizi.
Obbiettivo risulta quindi il tentativo di armonizzare, nell’interesse nazionale, gli interessi divergenti dei vari rami e categorie produttive, dando rappresentanza a tutte e riunendole in modo da concorrere al bene collettivo. Si tenta quindi di elevare la figura del lavoratore dipendente con vari istituti, tra i quali spicca l’Opera Nazionale Dopolavoro, creata nel 1925.
- ^ . Wiarda, Howard J, Corporatism and Comparative Politics: The Other Great Ism, 0765633671, M.E. Sharpe, 1996, pp. 22-23, ISBN 0-7656-3367-1.
- ^ Wiarda, Howard J., pp. 27.
- ^ Clarke, Paul A. B; Foweraker, Joe. Encyclopedia of democratic thought. London, UK; New York, USA: Routledge, 2001. Pp. 113
- ^ Dal discorso del 1º ottobre 1930 in Valentino Piccoli, Carlo Ravasio, Scritti e discorsi di Benito Mussolini, Hoepli, Milano, 1934
- ^ Il manuale delle guardie nere, Ed. reprint
- ^ Rondo Cameron – Larry Neal, Storia economica del mondo II volume, Ed. Il Mulino, Bologna, 2002
- ^ [1], Discorso del 14 novembre 1933, Benito Mussolini
- ^ Pietro Fedele, Grande Dizionario Enciclopedico – UTET
- ^ 09.3256 – Trattati internazionali indenunciabili – Curia Vista – Atti parlamentari – L’Assemblea federale – Il Parlamento svizzero
- ^ Bundesamt für Informatik und Telekommunikation BIT
- ^ Marco Palla, Mussolini e il fascismo, Collana XX secolo, Giunti editore, pag. 74
- Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, 1972.
- Luca Leonello Rimbotti, Il fascismo di sinistra. Da Piazza San Sepolcro al Congresso di Verona, Settimo Sigillo, 1989.
- Giano Accame, Il Fascismo immenso e rosso, Settimo Sigillo, 1990.
- Realino Marra, Aspetti dell’esperienza corporativa nel periodo fascista, in «Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Genova», XXIV-1.2, 1991-92, pp. 366–79.
- Enrico Landolfi, Ciao, rossa Salò. Il crepuscolo libertario e socializzatore di Mussolini ultimo, Edizioni dell’Oleandro, 1996.
- Arrigo Petacco, Il comunista in camicia nera, Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini, Mondadori, 1997.
- Paolo Buchignani, Fascisti rossi, Mondadori, 1998.
- Giuseppe Bottai, «CORPORATIVISMO» la voce nella Enciclopedia Italiana – I Appendice, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1938.
- A. Ans., «Corporativismo» la voce nella Enciclopedia Italiana – II Appendice, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1948.
- Daniela Parisi, «Corporativismo» in Il contributo italiano alla storia del pensiero – Economia, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2012.
- Corporativismo, in Tesauro del Nuovo soggettario, BNCF, marzo 2013.