L’outlet dei bambini – Il blog di Francesco Maria Del Vigo
9 years ago
Ho provato a farmi un giro nel supermercato dei feti e ne sono uscito inorridito. Da qualche giorno non si parla d’altro: Nichi Vendola e il suo compagno Eddy sono diventati papà. Grazie a un utero in affitto. E detta così sembra una cosa quasi normale. A qualcuno fa senso, ad altri schifo. Ma ormai questa locuzione “utero in affitto” la abbiamo sentita ripetere così tante volte dalla nostra stupida politica che ci pare normale. Sembra uno dei tanti temi su cui si accapigliano in Parlamento per dare un senso alla loro esistenza o alla loro rendita politica. “Utero in affitto”. Beh pure gli appartamenti si prendono in affitto, anche le automobili. I motorini, i quad, persino i libri e gli smoking. Insomma io sentivo parlare di questo utero in affitto ma non pensavo a cosa volesse effettivamente dire. Era un “sovrappensiero”, come nella vecchia canzone dei Bluvertigo. Poi ho letto un trafiletto sul “Corriere della Sera” nel quale veniva spiegata alla perfezione la dinamica di questa pratica: il costo per i futuri genitori, lo stipendio della proprietaria dell’utero e della donatrice degli ovuli, nel caso ce ne fosse bisogno. E ho letto il nome della più famosa clinica che pratica questo tipo di interventi: Growing Generations. Ho digitato il nome su Google e mi sono fatto un giro di un paio d’ore in questa fabbrica di bambini. Solo così ho capito cosa è l’utero in affitto. Solo sfogliando il catalogo delle “egg donors”, le donatrici di ovuli, mi sono trovato faccia a faccia con quello che non può non sembrare un mercato di esseri umani.
Sulla home page del sito scintillano i denti di una famiglia sorridente. Tutti felicissimi e belli. Biondi, mori, lattei, olivastri, con gli occhi chiari o scuri. Tutti i fenotipi. La mercanzia è tutta in vetrina e il magazzino offre tutte le varietà in commercio. Poi si inizia la navigazione: ci sono i menù e le offerte per gli aspiranti genitori, per le aspiranti madri surrogate e per le donatrici di ovuli. Tutto chiaro e preciso, come nelle migliori brochure commerciali. D’altronde qui si paga e si paga pure bene: sborsa tanti soldi chi vuole un nano scintillante e ne riceve altrettanto chi lo ospita durante la gestazione e chi fornisce gli ovuli. Il figlio è un bene di lusso. C’è un calcolatore che in base alle assicurazioni sanitarie e i contratti che stipuli computa immediatamente il costo dell’operazione. Come nei car configurator dei siti delle case automobilistiche: cerchi in lega, sedili in pelle, navigatore. Ma la configurazione del nascituro è appena iniziata. Nella clinica del futuro si può scegliere tutto, basta iscriversi per iniziare lo shopping. Si parte con la scelta del donatore di ovuli: razza (afroamericano, caucasico, asiatico ecc), peso, altezza, colore dei capelli e degli occhi. Si selezionano tutti gli optional. Pura eugenetica. Il sogno di Mengele. Dopo aver smarcato tutte le voci preferite si avvia la ricerca. E, come in un macabro Facebook degli ovuli, compaiono le immagini dei profili delle donatrici. È il social network dei cromosomi. E le donatrici ci tengono a far sfoggio delle loro ottime credenziali genetiche: book fotografico con prole al seguito per dimostrare di avere buoni lombi, video di auto presentazione e curriculum. Più ovuli hanno già dato è più sono affidabili. E più vengono pagate. Una specie di usato sicuro, di certificazione di garanzia. E fa un po’ effetto immaginare il leader di Sel che si mette a selezionare la razza, questa parolaccia che quelli come lui volevano strappare dai dizionari.
La stessa filosofia vale per le madri surrogate, cioè le donne che ospiteranno ovuli e partoriranno i bambini. La loro scelta è ancora più complessa, perché durante i mesi di gestazione dovrà interagire con i futuri genitori. Il catalogo è ampio e stilato con minuzia di particolari. Tutta l’operazione (con ovuli e madre surrogata, come nel caso dell’ex governatore, altrimenti si può anche portare un ovulo da impiantare) costa sui 145mila dollari ai futuri genitori. Un servizio per coppie abbienti. Ma non state a preoccuparvi, per chi non ha subito tutta la liquidità il sito ricorda in continuazione che si possono finanziare sino a 100mila dollari con un tasso di interesse del 5 per cento. Un affarone. Alla concessionaria dei figli tutto è possibile. Per ora non fanno leasing ma magari prima o poi fanno anche un buy back, non si sa mai che poi il pargolo rompa i coglioni e i genitori lo vogliano riportare in clinica. Alla madre surrogata, che viene seguita passo dopo passo e stipula un minuzioso contratto legale, vanno almeno 40mila dollari. Alla donatrice 8mila dollari per la prima donazione e dalla seconda in poi 10mila. Tutto calcolato. Tutto stipulato. Tutto perfetto. Tutto normato e tutto incredibilmente anormale. Un meccanismo di ingegneria genetica perfettamente rodato. Ecco, è sfogliando questo catalogo di umanità in vendita che si capisce veramente cosa sono l’utero in affitto e la maternità surrogata, queste locuzioni si staccano dalla strumentalità della politica e assumono la tridimensionalità di una pratica che può cambiare il mondo. Sono le meraviglie della scienza? Ma ne siamo davvero certi? Lasciamo perdere Nichi Vendola e il suo compagno, mettiamo da parte anche il fatto che queste cliniche siano utilizzate principalmente, ma non esclusivamente, da coppie omosessuali. Perché il problema non è quello, non solo quello almeno. Il problema è capire se è giusto costruirsi un figlio “sartoriale” selezionando pure il colore dei capelli e sfruttando – con la consapevolezza altrui, ovviamente – il corpo di un’altra donna. Per soddisfare le proprie voglie, perché si è omosessuali o magari per non portarsi dietro nove mesi di pancia, oppure per non perdere il lavoro a causa della maternità, è giusto far nascere un bimbo perfetto nel ventre di una donna costretta a venderlo per fare soldi? Non è una questione di religione o di fede – che io non ho – è una questione di umanità. Perché è evidente che questo è un mercato e che, in quanto tale, risponde solo alle regole del mercato. Che sono tra le migliori in circolazione. Ma per comprare le scarpe o il ferro, non i bambini. E le donne. Una volta i più poveri erano proletari, che non avevano nulla se non la prole. Ora che i figli sono un bene di lusso si chiameranno uteritari? Ovulitari?
Forse stiamo giocando troppo agli apprendisti stregoni, ai piccoli chimici senza accorgerci che siamo solo grandi cinici. funzione che stampa AdExchange in tutti i blogger, tranne che nel blogger di Bulla
L’outlet dei bambini – Il blog di Francesco Maria Del Vigo.