“Il Governo modernizza il proprio impegno a favore del cinema italiano e aumenta i finanziamenti del 60%”. È questo il messaggio che viene maggiormente evidenziato durante e dopo la conferenza stampa seguita al Consigli dei Ministri di giovedì, che, tra le misure decise, ha preso pure quella di riordinare e modificare, da un punto di vista normativo, il settore cinematografico e della produzione audiovisiva. Il disegno di legge stanzia “ingenti risorse in più”. In un nuovo “fondo” convergeranno le risorse prima erogate tramite Fus (Fondo unico per lo spettacolo) e tax credit (incentivi fiscali), a cui ne verranno aggiunte altre. Questo “fondo” verrà alimentato attraverso una percentuale fissa del gettito Ires e Iva di imprese che operano nel settori del cinema, della telefonia e delle telecomunicazioni. Quindi, apparentemente, nessuna nuova tassa di scopo, ma soldi che prima confluivano nella fiscalità generale ora verranno dirottati in questo “fondo”. E tale nuovo “fondo” non potrà mai scendere sotto i 400 milioni di euro. Si pensi che di 400 milioni di euro circa era negli ultimi anni lo stanziamento complessivo del Fus, che finanziava lo spettacolo dal vivo, il cinema e altre attività.
Ma quali sono le criticità di fondo del testo? La prima naturalmente riguarda l’opportunità di aumentare le sovvenzioni per il cinema. Il credito d’imposta istituito in questi anni ha dato ottimi risultati: in termini di investimenti, produzioni e attrazione di risorse, anche estere. Si tratta di un sistema fiscalmente vantaggioso, in larga parte alternativo a quello dei sussidi diretti. E
si tratta di un sistema che, per sua natura, è preferibile a un sistema di sovvenzioni dirette: in primo luogo perché ridimensiona ampiamente l’intervento della burocrazia nella scelta dei progetti da finanziare e su quanto finanziarli.
Meglio sarebbe stato abolire completamente l’intervento diretto dello Stato per lasciare solamente lo strumento del tax credit a sostegno all’industria cinematografica.
Il secondo punto riguarda l’estrema incertezza in merito alle nuove modalità di erogazione dei contributi diretti: si parla di un sistema di assegnazione automatico, che faccia perno su precisi indicatori. Il rischio è che si finisca per adottare lo stesso meccanismo oscuro e cervellotico adottato per lo spettacolo dal vivo, fatto di numerosi indicatori, formule e parecchia complessità. Un nuovo sistema in cui tutti i soggetti si stanno attrezzando per adeguarsi ai parametri che danno una maggiore premialità, per ottenere così maggiori risorse pubbliche.
Stando alle indicazioni emerse sul nuovo disegno di legge per il cinema emergono alcuni aspetti poco logici: perché continuare a premiare il successo in sala del film, erogando dei contributi diretti?
Già ora sono previsti dei contributi parametrati sugli incassi ottenuti: ma perché se un film è già stato premiato dagli spettatori deve ricevere pure un premio in denaro dei contribuenti? Un terzo punto riguarda
l’istituzione di un “Consiglio superiore per il cinema e l’audiovisivo che svolge attività di elaborazione delle politiche di settore, con particolare riferimento alla definizione degli indirizzi e dei criteri generali di investimento a sostegno delle attività cinematografiche e audiovisive”.
Ma non esiste già un ministero che dovrebbe elaborare “politiche di settore”? Perché ricorrere a una ennesima struttura che avrà sicuramente uno scarsissimo peso e andrà a svolgere funzioni che sono già di competenza di altri soggetti? Infine, il Governo si propone di intervenire nuovamente per ridisegnare le norme che obbligano “i fornitori di servizi media audiovisivi” a investire in e a programmare opere nazionali ed europee. Anche in tale ambito, meglio sarebbe che il nostro Paese si limitasse ad adeguarsi alla normativa europea senza prevedere sottoquote per le opere nazionali: i fornitori di servizi audiovisivi dovrebbero essere liberi di crearsi il proprio palinsesto e di investire sui progetti che ritengono migliori. Il disegno di legge tocca poi tanti altri punti, avendo la finalità di riordinare per intero il settore. Ma tocca troppi punti che forse non avrebbero bisogno di alcuno intervento da parte dello Stato.
Di fondo vi è l’obiettivo per lo Stato di “pilotare” e “guidare” maggiormente il settore.
Non rimane che aspettare di leggere il testo nella sua interezza per capire fino a che punto voglia farlo.