• NON SPARATE SUL COTTOLENGO – la Repubblica.it

    9 years ago

    Torino –  27 novembre 1994

    “I malati sono i nostri padroni. Dovete vendere le lampade della chiesa per dare a loro… se vogliono il brodo, dateci il brodo. Se vogliono la carne dateci la carne. E se uno è più malato degli altri, metteteci accanto la suora più graziosa”.

    San Giuseppe Cottolengo si esprimeva meglio in francese, o in Piemontese, che in italiano. “Ma le sue idee erano queste”, commenta, citandolo, il teologo Sergio Quinzio. “E’ difficile dire che cosa sia successo cent’ anni dopo, ma il paragone con San Patrignano mi pare azzardato”. “Il Cottolengo è stato, in un certo senso, un’ anticipazione di San Patrignano”, ha scritto ieri su la Repubblica Giorgio Bocca, riferendosi non tanto ai metodi usati nelle due istituzioni quanto ad una carità comoda e ipocrita soprattutto per chi sta fuori e la ricompensa con le donazioni e con il silenzio. Ma è subito un coro di proteste.

    Bocca lamenta anche la cattiva abitudine dello Stato di affidare ad altri, ed in particolar modo ai cattolici, quell’ assistenza che non è in grado di offrire neppure nelle sue città più ricche. Replica Quinzio:

    “E’ realistico pensare che un’ infermiera pagata dallo Stato faccia ciò che fanno le suore o anche i volontari del Cottolengo?

    Forse no. E se penso alla ‘ soluzione olandese’ , dove una persona su cinque, ormai, si pone il problema di scegliere l’ eutanasia, [ndr: siamo nel 1994] mi viene da dire che tutto sommato preferisco la soluzione italiana, con tutti i suoi rischi di paternalismo”. “Il Cottolengo è un’ istituzione aperta. Chiunque può entrarci, e moltissimi lo fanno, ogni giorno. San Patrignano no. E questa mi sembra già una notevole differenza”, commenta l’ economista Siro Lombardini.

    “In quelli che vengono chiamati Stati civili, deve essere garantito il diritto alla vita a tutti, a cominciare da chi non può farcela da solo. L’ Italia non è il posto peggiore: in Germania, negli Stati Uniti, la realtà è anche più contraddittoria e crudele. Le minoranze che non interessano nessuno dal punto di vista elettorale vivono in condizioni subumane. Con ciò, io non credo che si debba affidare tutto al volontariato: lo Stato deve assistere, e al tempo stesso controllare ciò che avviene. Io, da parte mia, al Cottolengo non ho mai il coraggio di entrare”. Franco Bolgiani, docente di storia della Chiesa, è lapidario: “Mi sorprende che un illuminista come Bocca, che dovrebbe saper introdurre delle distinzioni, arrivi a delle affermazioni così disgustose. Il fatto che viva a Milano non lo autorizza ad insultare un’ istituzione torinese dove è passato come cronista in cerca di emozioni”. Domenico Agasso, scrittore e giornalista cattolico, autore di un libro che, nonostante il titolo poco accattivante, Cottolengo, appunto, ha già fruttato alla Rizzoli due edizioni in pochi mesi, aggiunge: “L’ immagine dei ‘ mostri’ chiusi dentro la Piccola Casa non è vera. E non è vero neppure che la città ignori il Cottolengo o ne rimuova gli ospiti. E’ la società stessa ad occuparsi di loro, anche per l’ ottima ragione che i preti e le suore sono sempre di meno. E non lo fanno solo i cattolici né le pie dame”. Stranamente, a difendere almeno in parte le posizioni di Bocca arriva il sindaco di Torino, Valentino Castellani, a sua volta oggetto dell’ accusa di essersi “allineato immediatamente con i cattolici, evitando di discutere”. “Bocca mi definisce un laico, e va bene così, ma io sono un credente”, dice il sindaco. “Credo che la sua sia una provocazione, anche buona. Ma la questione attanaglia i cattolici da decenni: meglio la giustizia o la carità? Balducci, negli anni Sessanta, diceva che la giustizia era l’ espressione politica della carità, e io sono d’ accordo con lui. Come sindaco, e come cittadino, credo che allo Stato tocchi fare il suo dovere, e sono d’ accordo con Bocca quando dice che c’ è stata un’ eccessiva supplenza, per lo più delegata ai cattolici. Ma non sono d’ accordo nel liquidare il Cottolengo, che per me non è un luogo dove rinchiudere ciò che è scomodo, ma un simbolo altissimo, un luogo di testimonianza”. Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat e, assicurano, grande amico della “Piccola Casa della Divina Provvidenza” era stato più sbrigativo: “E’ una realtà meravigliosa, una delle più importanti che esistano. Se il Cottolengo è un ghetto, allora tutto lo è”.

    di VERA SCHIAVAZZI 27 novembre 1994 sez.

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