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    Trema la procura di Palermo: alterati i nastri di Napolitano

    9 years ago

    Stato-mafia, gli 007 di via Arenula in campo per tutelare la privacy di Re Giorgio: “Verificare l’effettiva documentazione e la corretta custodia delle intercettazioni”. Ma su Berlusconi nessuno si è mai mosso

    Le ultimissime, imbarazzanti ma tecnicamente di competenza di un’altra procura, sono state quelle di Silvana Saguto, la giudice indagata a Caltanissetta e che il Csm ha sospeso da funzioni e stipendio.

     

    Quindi, sempre quest’estate, c’è stato il caso Espresso, l’intercettazione fantasma del presidente della Regione Rosario Crocetta pubblicata e confermata dal settimanale ma smentita dalla procura. Ma le intercettazioni delle intercettazioni, quelle più azzardate e che più guai hanno procurato alla procura di Palermo, sono quelle fatte nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia: da un lato Nicola Mancino, futuro imputato per falsa testimonianza (quando era spiato non era neppure indagato) al processo che vede alla sbarra esponenti delle istituzioni e boss; al microfono dall’altra parte, ignaro dell’intercettazione, Giorgio Napolitano, all’epoca presidente della Repubblica in carica. Ed è proprio su queste ultime intercettazioni che starebbero indagando gli ispettori del ministero di Giustizia. Per verificare, fa sapere via Arenula tramite l’agenzia Ansa, «l’effettiva documentazione e corretta custodia delle intercettazioni».Una bomba. Che rischia di incrinare ulteriormente la credibilità di una procura di prima linea che appunto sul processo sulla trattativa Stato-mafia si sta giocando tutto. L’inchiesta di via Arenula apre anche qualche interrogativo, non ultimo quello dell’anomalia che si intervenga adesso per una vicenda ormai chiusa – quella di Napolitano – e non si sia invece mai intervenuti per altri intercettati eccellenti la cui privacy è stata violata dalle fughe di notizie, come l’ex premier Berlusconi.La storia delle telefonate Mancino-Napolitano che la Consulta ha deciso di distruggere è nota. La notizia delle quattro telefonate intercettate nel periodo tra il 7 novembre 2012 e il 9 maggio 2012 – due, di Mancino a Napolitano, il 24 e il 31 dicembre del 2011 – venne fuori all’inizio dell’estate del 2012. Risale a giugno il primo articolo, pubblicato dal Fatto Quotidiano, cui seguirono a catena, su altre testate – da Repubblica a Panorama – altri boatos e conferme. Lo scontro col Quirinale fu durissimo. Il Colle chiese alla procura – all’epoca era ancora procuratore aggiunto e deus ex machina dell’inchiesta Antonio Ingroia – di distruggerle (non erano agli atti perché irrilevanti a detta degli stessi pm), i pm si impuntarono e dissero di no, partì il conflitto di attribuzione. Risolto il 4 dicembre del 2012 dalla Consulta, che stabilì che dovevano essere distrutte. Napolitano pagò il conto a posteriori, obbligato da capo dello Stato a deporre come testimone al processo sulla trattativa Stato-mafia. Ma quei colloqui spiati furono comunque distrutti perché la Corte costituzionale li ritenne «illegittimi» perché violavano la «prerogativa di riservatezza assoluta delle comunicazioni».Con la distruzione il caso sembrava chiuso. E invece a sorpresa l’inchiesta di via Arenula lo riapre. Guarda caso a pochi giorni da un altro strano revival sul tema. Di quelle intercettazioni ha infatti parlato proprio uno dei pochi che le conosce davvero: l’ex pm Antonio Ingroia. In un’intervista, a una domanda sul contenuto di quelle intercettazioni, Ingroia ha risposto sibillino: «Non è ancora arrivato il momento, anche se, probabilmente, un giorno lo racconterò… Magari attraverso un romanzo, un mezzo che mi permetterebbe di usare certi filtri per raccontare una realtà che va ben al di là della più fervida immaginazione».

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