Boom dell’Imu: raddoppiata in 12 anni – IlGiornale.it
9 years ago
I dati Eurostat certificano il salasso sulla casa: 1,6 punti di Pil pagati dai proprietari. Alla faccia delle promesse.
Milano – Casa dolce casa? No, casa carissima casa. Già perché nel Paese dove possedere un’abitazione di proprietà è un punto d’arrivo, le tasse sulle abitazioni sono esorbitanti.
Lo sanno tutti quelli che in Italia con sacrifici e rinunce sono riusciti ad acquistare un immobile ed ora guardano ad ogni missiva nella cassetta della posta come a un piccolo attentato alle coronarie. Imu, Tasi, Tari, frizzi, lazzi e chi più ne più ne metta. E proprio mentre il governo Renzi promette una rivoluzione radicale con il taglio totale delle imposte sulla prima casa, ecco venire alla luce un dato che cozza con l’annuncite cronica del premier. Proprio ieri Renzi a Che tempo che fa ha parlato di «riduzione delle tasse in legge di Stabilità» aggiungendo che dopo «Tasi, Imu taglierà anche Ires e superammortamenti» grazie a «taglio dei costi, riduzione di spesa, scudo fiscale e lotta all’evasione fiscale». Promesse anche sulla riforma delle pensioni, ma non subito, e annunci sulla scuola «per portare in Italia 500 professori universitari anche italiani».
Intanto
l’Imu in poco più di un decennio è raddoppiata, passando dallo 0,8% del Pil nel 2000 all’1,6% nel 2012.
Un balzo doppio certificato dall’ultimo rapporto Eurostat sui trend fiscali nell’Unione europea. L’Italia nel 2012 risulta al quarto posto in Europa per le imposta sulla casa, considerando solo l’Imu con un incasso per lo Stato centrale nello stesso anno pari a 24,8 miliardi di euro, dato rimasto più o meno costante negli tre ultimi anni con un aumento nel 2015 di «soli» 2 miliardi di euro.
Chi se la passa peggio di noi, ma solo sulla carta, anche in virtù di una tassazione e un sistema di welfare differenti, è la Gran Bretagna, dove il fisco sugli immobili nel 2012 si è attestato al 3,4% del Pil nazionale (era però già al 3,2% nel 2002) con oltre 65 miliardi di gettito. Al secondo posto la Francia, dove le tasse sulle abitazioni pesano per il 2,4% del Pil con 48,4 miliardi di entrate statali. Sul terzo gradino del podio la Danimarca: dove le tasse sulla casa pesano per l’2,1% del Pil ma qui il gettito totale è stato infatti ben inferiore rispetto agli altri paesi, attestandosi a 5 miliardi di euro. Chi può vivere tra quattro mura imbottite di ovatta sono i maltesi e i croati: lì infatti non esistono tasse sulle casa. Bene anche il Lussemburgo dove il peso delle imposte è soltanto lo 0,1% del Pil.
In questo terreno minato prendono forma gli annunci di Matteo Renzi. Il premier ha promesso urbi et orbi che entro la fine dell’anno sarà celebrato «il funerale delle tasse sulla prima casa» ma dar seguito a questi proclami non sarà affatto semplice. Lo Stato non può rinunciare a tutti quei soldi senza rischiare di far saltare il banco. Tanto che le ipotesi al vaglio dei tecnici del ministero dell’Economia sembrano portare a un mero gioco contabile per non disattendere le promesse: via le tasse sulla prima casa, mazzata per i possessori di una seconda abitazione e su chi decide di mettere a reddito il proprio immobile affittandolo. Con conseguenti, inevitabili, nuovi salassi anche per gli inquilini. Il rischio concreto dunque è quello di «dopare» il mercato immobiliare costringendo i proprietari a scelte radicali come, per esempio, lasciare vuote e sfitte le proprie abitazioni facendo schizzare verso l’alto i prezzi degli affitti. Pochi felici, molti penalizzati. Ma con la gioia di poter dire «ho mantenuto la parola».