Le trame oscure dietro le stragi in piazza – IlGiornale.it
9 years ago
Tre stragi in poco più di quattro mesi. E tutte dirette contro quel partito Democratico del Popolo (Hdp) che alle elezioni dello scorso giugno si è rivelato cruciale per spezzare la consolidata egemonia del partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdogan
Tre stragi in poco più di quattro mesi. E tutte dirette contro quel partito Democratico del Popolo (Hdp) che alle elezioni dello scorso giugno si è rivelato cruciale per spezzare la consolidata egemonia del partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdogan.
La prima strage è del 5 giugno e colpisce, alla vigilia del voto, un raduno elettorale a Diyarbakir, la «capitale» delle regioni curde del Sud-Est dove questo partito di sinistra, ma molto vicino alla minoranza locale, raccoglie vasti consensi. Il 20 luglio arriva il massacro di Suruc messo a segno durante una manifestazione di solidarietà agli abitanti di Kobane, la città curda ritornata alla vita dopo aver rotto l’assedio dello Stato Islamico. Ieri, infine, la terribile carneficina nel cuore della capitale Ankara.
Il filo rosso che unisce quei tre massacri è oltremodo inquietante. Soprattutto se lo si analizza alla luce della strategia utilizzata da Erdogan e dal suo partito per recuperare i voti perduti il 7 giugno scorso quando – per la prima volta dal 2002 – l’Akp ha dovuto rinunciare alla maggioranza assoluta fermandosi al 40,9 per cento. Un risultato che – al di là dall’essere di gran lunga inferiore agli standard – impedisce a Erdogan quelle modifiche costituzionali indispensabili per trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale e imporre se stesso come nuovo, autentico «sultano». In tutto questo l’Hdp gioca un ruolo fondamentale, e grazie al carisma del suo leader Selahattin Demirtas capace di calamitare sia il voto curdo, sia i consensi di molti oppositori preoccupati dalla smania accentratrice del presidente, il partito supera la soglia del 10 per cento scippando all’Akp 80 seggi.
Fallito il tentativo di formare una coalizione di governo con altri partiti e fissate nuove elezioni per il prossimo 1° novembre, Erdogan e i suoi puntano tutto sullo scontro con il Pkk, il partito curdo armato che dal 1978 combatte nel Sud-Est del Paese. Una strategia semplice ed efficace visto che lo scontro con i curdi tende tradizionalmente a polarizzare e radicalizzare l’elettorato garantendo maggiori consensi al governo. Non a caso proprio a luglio scatta la violenta offensiva di Ankara contro le basi del Pkk e delle formazioni gemelle in Siria e nord Irak. A tutto questo s’aggiunge una campagna elettorale estremamente violenta durante la quale Erdogan e i suoi puntano a delegittimare l’Hdp dipingendolo come il vero braccio politico del Pkk. Un accusa decisamente esagerata perché l’Hdp, nonostante alcuni evidenti rapporti con il Pkk, è ben lontano dal condividerne metodi e strategie.
Nonostante l’accresciuta tensione e la campagna di delegittimazione l’Akp faticherebbe però, stando ai più recenti sondaggi, a superare la soglia del 50 per cento. Ecco perché nei comunicati dell’Hdp, seguiti alla strage di ieri, non mancano le accuse allo «Stato profondo», termine con cui tradizionalmente in Turchia s’indicano le collusioni dei servizi segreti con le organizzazioni incaricate di colpire gli oppositori. In questo scenario la terribile carneficina di Ankara sarebbe altra benzina buttata sul fuoco della rabbia curda per moltiplicare gli attacchi del Pkk e garantire un ritorno di voti al partito di Erdogan. Anche perché prima della manifestazione di Ankara, convocata non a caso nel nome della pace nei territori curdi, il leader dell’Hdp Demirtas si diceva convinto che il Pkk stesse per annunciare una tregua fino al termine delle elezioni. Una mossa che avrebbe, di fatto, disinnescato la strategia del governo. Una mossa confermata da un comunicato del Pkk dopo la strage ma che sarà ora molto più difficile da garantire. Non a caso ieri Demirtas non risparmiava le accuse al governo. «Com’è possibile che uno Stato dotato di un’ intelligence così potente non sia riuscito a prevenire l’attacco? Siamo alle prese con uno Stato assassino».