Siria, il mondo va alla guerra Ognuno contro il suo nemico
9 years ago
L’America preme per l’uscita di scena del dittatore, Mosca sostiene lo status quo di Damasco. In mezzo restano alleanze e antipatie
La Russia ha cominciato ieri a bombardare postazioni dello Stato islamico in Siria, complicando una guerra che ha causato oltre 250mila morti, obbligato oltre quattro milioni di persone a lasciare le proprie case, e ha attirato nel conflitto su fronti opposti diversi attori internazionali e regionali.
Alle Nazioni Unite sono emerse con chiarezza le due visioni opposte attorno a cui si muovono le alleanze: l’America preme per l’uscita di scena del dittatore Bashar El Assad, la Russia sostiene che lo status quo a Damasco garantisca stabilità. Washington e Mosca concordano su un punto: lo Stato islamico deve essere sconfitto.
STATI UNITI Dall’inizio del 2011 contro il regime di Assad, Washington sostiene la necessità di una transizione politica che preveda l’uscita di scena del rais. Allo stesso tempo, la Casa Bianca è impegnata militarmente contro lo Stato islamico. Dal 2014 guida una coalizione internazionale di cui fanno parte Paesi arabi sunniti, ma anche europei, che porta a termine bombardamenti aerei contro postazioni jihadiste in Irak e Siria. Nelle ultime ore, dopo l’intervento militare russo a fianco di Damasco, Obama ha detto però d’essere anche aperto a collaborare con Mosca e il suo alleato iraniano.
RUSSIA Da sempre alleato di Assad ha deciso d’entrare in campo militarmente a fianco del rais siriano contro lo Stato islamico e altri gruppi islamisti nelle ultime settimane. Collabora sul campo anche con l’altro grande amico di Damasco, l’Iran. Mosca sostiene che la salvezza del regime di Assad garantisca stabilità.
IRAN Storico alleato di Assad, combatte fin dall’inizio del conflitto a fianco del regime, sostenuto dalle milizie sciite libanesi di Hezbollah. Presente anche nel Sud dell’Irak, dove collabora con il governo sciita di Bagdad per arginare i movimenti dello Stato islamico verso la capitale.
PAESI DEL GOLFO Alleati dell’America, i potentati sunniti partecipano ai raid aerei contro postazioni dello Stato islamico, sono per l’uscita di scena del rais Assad e contrari a ogni forma di collaborazione con l’Iran, nazione sciita che da anni rappresenta per questi Paesi una minaccia all’egemonia regionale, anche attraverso il suo programma nucleare. L’accordo firmato da poco tra Teheran e comunità internazionale rende ancora più viva l’opposizione, perché riporta l’Iran al tavolo dell’occidente.
ISRAELE Confinante con la Siria, ha da sempre tentato di mantenere una posizione neutra sulle sorti di Assad. Ha combattuto una guerra con Hezbollah nel 2006 ed è in costante stato di contrasto con l’Iran. La discesa in campo in Siria della Russia, Paese amico, a fianco di questi due attori, ha complicato la posizione israeliana. Il premier Benjamin Netanyahu è da poco voltato a Mosca per evitare incidenti in Siria tra esercito russo e soldati israeliani, che spesso intervengono quando il conflitto sconfina sulle alture del Golan.
ITALIA Sostiene la coalizione internazionale in funzione anti-Stato islamico ma a differenza della Francia, che ha da poco portato a termine il primo bombardamento sulla Siria contro l’Isis, il premier Matteo Renzi ha detto che l’Italia non farà raid. La posizione italiana sostiene la necessità di coinvolgere in una transizione a Damasco tutti i soggetti politici interessati.
CURDI I curdi, sia i peshmerga in Irak sia gruppi armati in Siria, sono i «boots on the ground» della coalizione internazionale contro lo Stato islamico. Combattono sul campo per arginare l’avanzata delle milizie jihadiste con la collaborazione degli Stati Uniti e dei loro alleati. La vicina Turchia mal sopporta questo nuovo ruolo internazionale di una popolazione – sparpagliata tra i confini di Turchia, Siria e Irak – che da decenni combatte anche contro l’esercito turco per la creazione di una sua nazione.
TURCHIA E GIORDANIA I Paesi frontalieri assieme al Libano hanno assorbito il più alto numero di rifugiati. Dopo un attentato il 20 luglio che nella città meridionale turca di Suruc ha ucciso decine di persone, Ankara è entrata nella coalizione anti-Stato islamico, portato a termine raid aerei e permesso all’America l’utilizzo delle sue basi, tracciato con Washington un piano per la creazione di una zona cuscinetto «libera dall’Isis», nel Nord della Siria, lungo il suo confine. Sui mass media americani cresce il caso per una possibile partizione de facto della Siria in zone cuscinetto e d’influenza libere dallo Stato islamico e sicure per i rifugiati. In parte, anche la Giordania, aveva scritto il Financial Times , coinvolgendo le tribù con legami familiari oltreconfine, starebbe andando in questa direzione.
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