Non sopporto più l’ipocrisia di Tsipras, l’uomo che aveva acceso le speranze di una vera svolta democratica in Europa per poi ridursi ad applicare le riforme della Troika che il popolo gli aveva dato mandato di combattere. Ora si è dimesso. Troppo tardi, mi vien da dire. O troppo presto. Già, perché andare alle elezioni il mese prossimo, subito dopo la svolta pro establishment europeo di Syriza, significa, di fatto, impedire alle forze antieuro di organizzarsi. A questo punto che vinca Syriza o il centrodestra di Neo Demokratia o i socialisti poco importa: applicheranno la stessa politica di rigore che ha dissanguato la Grecia. E il popolo sarà privato di una vera alternativa, considerata l’improponibilità di Alba Dorata e altre formazioni estremiste.
A questo punto una sola domanda è rilevante: Tsipras spiegherà mai agli elettori greci e agli europei qual è la vera ragione dell’incredibile voltafaccia che lo ha visto protagonista proprio la notte del referendum? Quella doveva essere – e in molti cuori è stata – la notte del trionfo della democrazia e della volontà popolare. Ma quella notte Tsipras, anziché esultare licenziò il suo ministro dell’economia Varoufakis e il giorno dopo fece esattamente il contrario di quel che il popolo gli aveva chiesto a grandissima e, consentitemelo, commovente maggioranza.
E’ come se esistessero due Tsipras, quello da molti di noi ammirato prima del 6 luglio e quello improvvisamente omologato del dopo referendum.
Cos’è successo quella notte? Chi o cos’ha indotto Tsipras a rinnegare se stesso? Non è una domanda retorica. Si tratta di capire quali metodi vengono usati – dietro le quinte – per sovvertire la volontà popolare.
E’ un dettaglio che – a chi è davvero democratico – interessa davvero; anche perché situazioni analoghe potrebbero capitare in altri Paesi.
Tutto il resto non conta, men che meno le orami inutili elezioni di settembre.
Tutto il resto è sottomissione.