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    Anche nel Medioevo ci si ribellava contro il fisco – IlGiornale.it

    9 years ago
    #TAXATION, +Libertarian Activism          
    Dalle Fiandre, alla Francia, alla Toscana si organizzavano rivolte non tanto contro il pane,ma per motivi più evoluti: trasparenza, rappresentanza, equità

    Anche sette, otto secoli fa, in pieno Medioevo, ci si ribellava contro il fisco. Dalle Fiandre, alla Francia, alla Toscana – le regioni più evolute sotto il profilo economico, nelle quali l’industria aveva un peso sociale notevolissimo – si organizzavano rivolte non tanto contro il pane, che pure spesso mancava, ma per motivi più evoluti, che possono essere chiamati con espressioni attualissime: trasparenza, rappresentanza, equità.

     

    Anche allora, come oggi, i lavoratori combattevano contro i datori di lavoro, ma, parallelamente, anche le classi medie incalzavano l’aristocrazia. È la dialettica sociale, mai ferma e mai paga: quella dinamica continua che produce i grandi cambiamenti e che è il vero motore del il progresso.

    Racconta queste cose Maria Paola Zanoboni, medievalista e professore di storia economica, in un volume dal titolo “Scioperi e rivolte nel Medioevo; le città italiane ed europee nei secoli XIII-XV”, edito da Jouvence Historica (246 pagine, 19 euro); lo fa con rigore scientifico ma anche con spirito divulgativo, cosa che rende questa lettura, oltre che istruttiva, molto piacevole. Del resto, le analogie con l’attualità bastano da sole a creare curiosità, facendo riflettere su come gli istinti della gente muovano da sentimenti sempre identici, che assumono forme diverse (ma analoghe) secondo i periodi storici. Il libro parla di salariati e di imprenditori, di scioperi, di lavoro nero, di previdenza, di infortuni; nell’edilizia, nell’industria tessile, nei cantieri navali. E dedica tre capitoli anche a professioni allora in forte ascesa: ai notai, garanti della certezza del diritto, ai medici e al servizio sanitario medievale, e agli speziali, titolari di vere botteghe della salute.

    Già nel Duecento si diffusero in tutta Europa tumulti che avevano origine nelle esigenze di ordine socio-economico provocate dal malcontento politico generale, diretto conto le élites dirigenti e dovuto alla situazione fiscale e alla gestione delle finanze urbane. Il ceto medio aspirava ai vertici delle magistrature cittadine, dalle quali era escluso, in particolare nella giustizia, monopolio del patriziato. Gli operai volevano più equità nel rapporto di lavoro. Nel 1253 ad Arras, dopo una rivolta, vennero addirittura abolite le corporazioni sospettate di essere ricettacolo di rivolte: come se oggi venissero banditi i sindacati. A Douai il consiglio cittadino legiferò in più occasioni contro chi si asteneva dal lavoro: nel 1245 vennero comminate multe e il bando dalla città per chi avesse sospeso il lavoro o organizzato assemblee. Tre tessitori vennero decapitati per aver ingiuriato le autorità municipali.

    A Provins, nel 1281, un aumento delle tasse suscitò la reazione di tutti i lavoratori tessili, maestri e salariati, e per dividerli il sindaco pensò di allungare di un’ora la giornata lavorativa. La reazione di migliaia di operai tessili fu immediata: il sindaco venne ucciso e le case delle autorità cittadine furono bruciate. Tensioni crescenti si crearono sul finire del 1200 perché l’Inghilterra aumentò le tasse sull’esportazione della lana, provocando nelle Fiandre un aumento dei prezzi che fu contrastato con una diminuzione del costo del lavoro e una più stretta regolamentazione della manodopera.

    Le proteste erano tese anche verso quel valore democratico che oggi chiamiamo trasparenza: nel 1279, per esempio, il re di Francia obbligò (sotto pressione popolare) le città delle Fiandre a rendere conto annualmente della gestione delle finanza a tutti i cittadini che lo avessero domandato. L’ingiustizia, che aveva nell’imposizione fiscale la leva più evidente perché colpiva pesantemente i beni di prima necessità, spingeva a dire (già allora): “i poveri che lavorano con le proprie mani pagano più dei ricchi”, e l’abisso di disuguaglianza tra i lavoratori più poveri e i mercanti aumentava.

    In Italia le sollevazioni arrivarono più tardi, ma qui, più che gli operai, i conflitti di classe riguardarono gli interessi dei mercanti e dei piccoli commercianti che si opponevano all’aristocrazia terriera e mercantile, vescovo compreso. I disordini, verso la metà del Trecento, caratterizzano Firenze, Genova, Bologna, Roma, Napoli e molte altre città. Anche qui i tumulti successivi alla peste del 1348, non furono dovuti alla richiesta di pane, ma piuttosto a motivi fiscali, di rappresentanza politica e all’esigenza di giustizia, vista la palese parzialità dei tribunali. Con il celebre tumulto dei Ciompi, scoppiato a Firenze nel 1378, i salariati dell’arte della lana (13mila persone su una popolazione cittadina di 55mila abitanti) riuscirono a ottenere per 4 anni il governo della città.

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