La Grecia è ormai fallita, a rimetterci saranno i più poveri—di Matteo Borghi – LeoniBlog
9 years ago
La crisi di liquidità greca e l’ipotesi di un mancato rinnovo dei prestiti internazionali hanno mandato in fibrillazione non solo Atene ma la stessa Unione europea, preoccupata per un possibile default di Atene. Come ha ricordato Oscar Giannino entro il 19 giugno la Grecia deve infatti rimborsare una rata da 1,6 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale: soldi non ci sono e comunque Alexis Tsipras e il ministro dell’Economia Yanis Varoufakis hanno fatto sapere che non intendono pagare per degli impegni di austerity presi dal precedente governo. Anzi rilanciano l’idea di una nuova ristrutturazione del debito pubblico dopo quella che fra il 2011 e il 2012 ha tagliato più del 60% del valore reale dei crediti detenuti dai privati.
Al di là dello scontro sui termini (“austerity” suona malissimo, “rigore” anche) bisogna sia chiara una cosa: la sopravvivenza greca dipende totalmente dai prestiti internazionali né si vede, in prospettiva, una via d’uscita da questa situazione. Nonostante le politiche implementate dai governi prima di Tsipras, infatti, i dati ci dicono che la Grecia è ancora molto lontana della salvezza dei propri conti pubblici. Stando ai dati riportati da Tradingeconomics nel 2014 la Grecia ha riportato un deficit di bilancio del 12,3% del Pil (-8,7% nel 2013 e -10,2% nel 2012), quattro volte il noto limite del 3% stabilito dal patto di stabilità e crescita.
Il deficit non è un numero inutile e odioso come lo giudica qualcuno ma un indicatore importante dello stato di salute dell’economia di un Paese: vuol dire che di media, nell’ultimo triennio, la Grecia ha speso il 10% in più di quanto si sarebbe potuta permettere, indebitandosi. I dati sulla spesa pubblica e sul debito ci confermano questa realtà: la prima è rimasta sostanzialmente immutata fra inizio 2012 (53,7%) e inizio 2013 (53,8%) per poi balzare al 59,2% del Pil a inizio 2014, mentre il debito è per un attimo sceso dal 171,3% del 2012 al 156,9% del 2013 per poi balzare di nuovo a oltre il 175% nel 2014.
Quando a partire dal 2010 Unione europea ed Fmi (la famosa “troika”) hanno cominciato a chiedere misure di rigore in cambio di prestiti internazionali e ristrutturazione del debito, la ratio era quella di evitare il default nel breve termine consentendo alla Grecia di reggersi sulle proprie gambe nel lungo periodo. Atene, era il ragionamento della “troika”, avrebbe beneficiato di tassi di interessi reali molto bassi, pari a circa il 2,4% contro il 2,7% della Germania, ma si sarebbe in cambio impegnata a mettere in ordine i propri conti per tornare a essere un Paese finanziariamente autonomo. L’idea, di gran lunga la più razionale fra quelle in campo,
non ha funzionato vuoi per i problemi strutturali della Grecia (sprechi di denaro pubblico, privilegi atavici, corruzione),
vuoi per lo scarso impegno dei politici greci almeno in certi frangenti, vuoi per una difficoltà oggettiva di coniugare politiche di austerity e crescita economica.
Sta di fatto che, ad oggi, il bilancio greco resta in piedi solo grazie ai continui prestiti pubblici, per la gran parte (70%) Paesi dell’Unione europea. Stati che a seguito del default della Grecia perderebbero il valore dei propri prestiti: la Germania detiene una quota di 61,74 miliardi di euro, la Francia 46,56, l’Italia 40,87 e la Spagna 27,35 miliardi (dati settembre 2014), soldi che andrebbero subito persi nel caso di fallimento a seguito della fine dei prestiti.
Ma anche l’ipotesi Grexit e l’immediato ritorno alla dracma aprirebbero la strada a risultati disastrosi: secondo uno studio di Ubs l’uscita della Grecia dall’euro farebbe perdere ad Atene il 45% del Pil (la disoccupazione oggi al 26% potrebbe quasi raddoppiare) e comporterebbe una svalutazione del 60% della nuova dracma. La conseguenza sarebbe l’impossibilità di ripagare il proprio debito che aprirebbe di nuovo le porte al default: la Grecia per finanziarsi dovrebbe a quel punto trovare soldi sul mercato (cosa peraltro molto difficile dopo un fallimento) senza alcuna agevolazione da parte dell’Ue oppure aumentare le tasse. La conseguenza sarebbe un disastro ancora peggiore di quello attuale.
Se non si trova una procedura di uscita graduale e concordata come ipotizza Giannino, l’unica alternativa per evitare il default greco sono gli aiuti europei che però, abbiamo detto, non garantiscono una prospettiva di risanamento neppure sul lungo periodo. Senza una delle due soluzioni il default è assicurato. A rimetterci, per primi, saranno i greci poveri che si ritroveranno a stare peggio di oggi.
La Grecia è ormai fallita, a rimetterci saranno i più poveri—di Matteo Borghi – LeoniBlog.