• Altro che buona scuola. Rosmini c’insegnava la scuola libera | L’intraprendente

    9 years ago
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    ( al fondo un breve estratto del testo di Rosimini )

    Solo un Paese ammalato di esterofilia cafona e abituato a sprecare le perle ai porci come l’Italia può concedersi il lusso di relegare Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati (1797-1855) nel dimenticatoio
    Cristiano tutto d’un pezzo, sacerdote, filosofo di rango, uomo di talento e di coraggio (due sue opere, tra cui la maggiore, Le cinque piaghe della Chiesa, pubblicata nel 1848, finirono all’Indice proprio mentre lui veniva invitato a far parte della commissione teologica che preparò il testo della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione), beato della Chiesa Cattolica proclamato il 18 novembre 2007 da Papa Benedetto XVI, don Rosmini è spesso citato in coppia con il beato John Henry Newman, e giustamente. Entrambi, infatti, hanno saputo dare lustro alla storia del pensiero umano, e alla teologia cattolica, scompaginando quei retrivi stereotipi destra/sinistra che invece di spiegare oscurano. Newman e Rosmini, infatti, hanno vissuto (non solo interpretato) la tradizione non come il contenuto di uno scrigno ermeticamente chiuso da una chiave gettata in fondo al mare, ma come continua riforma, costante rinnovamento, unica autentica novità.Newman e Rosmini sono dunque eccellentemente attuali, più che moderni, anzitutto e soprattutto perché il loro approccio alla realtà non può passare di moda. Al cuore del pensiero del beato Newman sta infatti il concetto nobile e austero di coscienza, primo e ultimo tribunale dell’agire umano non perché così l’uomo sia autorizzato a fare ciò che vuole, ma perché così l’uomo è risvegliato costantemente al compito della responsabilitàà. E al cuore del pensiero del beato Rosmini sta la dimensione che rende la coscienza newmaniana autenticamente responsabile: la libertà.

    La filosofia rosminiana nasce e si articola tutta come strumento di contrasto ai mali del tempo (e quel tempo è sempre) che gli è stato concesso di attraversare: l’illuminismo materialista e il socialcomunismo. Rosmini sa che la libertà è il volto della somiglianza tra l’uomo e il suo Creatore, e per questo si fa teorico di uno Stato minimo, anzi persino minimalista. A Dio, infatti, va dato ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare, ma questo perché Dio e Cesare non sono mai la medesima cosa, e nemmeno si somigliano. Dio ricade nella categoria dell’infinito, Cesare in quella del suo esatto contrario, il limite.

    Un ritratto del teologo Newman

    Di questa convinzione profonda e illuminante è intriso un breve testo scritto e diffuso per difendere gl’insegnanti e gli allievi delle scuole cattoliche dalle soperchierie regalistiche e illiberali del Regno sabaudo di Sardegna, Libertà di insegnamento (puoi scaricarlo qui). Pubblicato originariamente nella forma di una serie di articoli usciti nel 1854 sulle colonne del periodico «Armonia della Religione con la Civiltà» (fondato dal teologo don Guglielmo Andrea Audisio [1802-1882], rettore all’Accademia ecclesiastica di Superga, come espressione dei cattolici intransigenti), il testo fu poi riproposto nel 1883 nel volume Scritti vari di metodo e di pedagogia curato da don Francesco Paoli (1808-1891) (si trattava della seconda raccolta postuma di scritti rosminiani sul tema, dopo il primo, del 1857, intitolato Pedagogia e metodologia), e infine venne riproposto nuovamente a sé nel 1912, con il titolo originale, dalla Tipografia del Senato di Roma.

    Per molti versi vi si ritrova il filo del discorso iniziato nel 1926 con lo scritto Sull’unità dell’educazione (1826) con cui Rosmini difende il principio della coerenza interna dell’educazione sottolineando che essa è raggiungibile solo attraverso la religione, cattolica, alla quale però non spetta mai (come si potrebbe anche sospettare) l’“indottrinamento” e la soluzione artificiosa di ogni questione, dubbio o ansia di conoscenze, bensì il ruolo di regista e di arbitro. Oggi si direbbe che alla scuola cattolica, gestita secondo i criteri della libertà d’insegnamento, spetta il compito di una limpida problematizzazione dell’esistenza e dell’esistente allo scopo unico di educare la coscienza individuale alla ragionevolezza, alla criticità e alla responsabilità nel confronto con il reale di cui fa anzitutto parte la tradizione.

    Ho scritto, come scriveva Rosmini, “scuola cattolica” invece che solamente “scuola libera” poiché per Rosmini il punto è questo: la scuola cattolica è la scuola libera per tutti, non cattolici compresi, e viceversa, poiché la scuola cattolica autentica è l’educazione laica della libertà della persona nel confronto con il reale, reale che in un Paese pur sderenato come l’Italia è ancora e comunque sempre determinato intimamente dalla tradizione cattolica. Tanto che fingere il contrario significherebbe votarsi all’astrattezza più vanesia.

    Ebbene, in Libertà di insegnamento del 1854 (che è uno scritto “di battaglia”, teso a strappare allo statalismo una no-fly zone in cui coltivare in pace la libertà) Rosmini rivendica a voce alta non solo il diritto della scuola a essere libera, e quindi cattolica, per tutti e ognuno, ma anche il dovere dello Stato, se non è statalismo, non di concedere graziosamente ma di salutare e di benedire la libertà educativa in cui sono le famiglie a scegliersi gl’insegnanti e gl’insegnamenti. Infatti, scrive Rosmini a proposito della “libertà”, «fino che questa parola rimarrà indefinita continuerà ad essere il pomo della discordia. È tempo d’uscire d’ambagi. La libertà è l’esercizio non impedito dei propri diritti. I diritti sono anteriori alle leggi civili. Il fondamento della tirannia è la dottrina che insegna il contrario. Le leggi civili possono essere giuste, ovvero ingiuste, e in questo caso, con un’altra parola, sono tiranniche. Se le leggi civili non offendono i diritti che sono ad esse precedenti, e si limitano a proteggerne l’esercizio, acciocché da niun ostacolo essa venga impedito, sono giuste, e il popolo che vive sotto queste leggi è libero. Se le leggi civili (invece) pretendono di essere superiori a quei diritti che esistono prima di esse, pretendono di esserne esse le fonti, d’esserne le padrone, sono ingiuste, e il popolo che ha un governo fondato sopra una tale teoria, dell’onnipotenza della legge civile, è schiavo».

    La libertà viene prima dei governi, degli Stati e delle leggi. In questo scritto sublimemente polemico c’è tutta la cifra dell’irriducibilità umana taglieggiata e tallonata dal Leviatano anticristico. Essa, la libertà, è infatti un sacrosanto diritto dato da Dio all’uomo, e solo a lui. Per questo la libertà è tutt’uno con la scuola, il luogo dove la libertà si educa, si fa crescere nella persona, si rende matura e responsabile. Don Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati nessuno se lo ricorda più in Italia, e non è che non si veda.

    di on 18 giugno 2015. Filed under Dibattiti. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0.

    Sulla libertà d’insegnamento / Antonio Rosmini

    Nel 1854 Antonio Rosmini affronta il tema della libertà d’insegnamento, ponendo al centro del suo scritto il modo in cui l’attività educativa possa essere svolta dalla Chiesa Cattolica, dai dotti, dai padri di famiglia, dai benefattori «che col proprio danaro mantengono le scuole», dai comuni e dalle province, e infine dal governo. In Sulla libertà d’insegnamento l’autore si fa sostenitore di un’ampia libertà di scelta e iniziativa, dal momento che «un Governo civile obbligando tutti i maestri ed istitutori a seguire un unico metodo da lui stabilito per ogni ramo d’istruzione, non è solo violatore del natural diritto al libero insegnamento che hanno i dotti, ma di più è nemico del progresso».

    I padri di famiglia hanno dalla natura e non dalla legge civile il diritto di scegliere per maestri ed educatori della loro prole quelle persone, nelle quali ripongono maggior confidenza.


    Questo diritto generale contiene i diritti speciali seguenti:
    1° – Di far educare i loro figliuoli in patria o fuori, in iscuole ufficiali o non ufficiali, pubbliche o private, come stimano meglio al bene della loro prole;
    2° – Di stipendiare appositamente quelle persone, nelle quali essi credono di trovare maggior probità, scienza e idoneità;
    3° – Di associarsi più padri di famiglia insieme, istituendo scuole dove mandare in comune i loro figliuoli. […]


    I Governi monopolisti dell’insegnamento, come pure tutti quelli che concedono una libertà d’insegnamento di solo nome, inceppando in effetto con innumerevoli formalità e pesi l’esercizio del diritto di insegnare, come abbiamo veduto nel capitolo precedente, ledono anche il diritto dei padri di famiglia, a cui impediscono la piena libertà d’esercitarlo. Poiché è chiaro, che questo rimane tanto più vincolato nella scelta delle scuole e dei maestri, quanto più dal Governo si mettono impedimenti alle scuole e all’esercizio della professione di maestro.
    Vi hanno tra noi dei dottrinari, che riconoscono nei padri il diritto di fare istruire i loro figliuoli da persone di loro fiducia, scelte senza impedimento, ma poi aggiungono: «Ciò non ostante per al presente non conviene lasciare questa libertà ai padri di famiglia, perché non ne sanno usare, hanno molti pregiudizi imbevuti nel tempo passato. Conviene dunque per ora privarli di quella libertà, fino che sieno formati alle nuove idee della giornata: allora poi glie la concederemo». Quelli che così ragionano sono falsi liberali, il che è quanto dire non liberali, sono teste inconseguenti, senza principi. Col loro ragionamento distruggono ad un tempo il concetto del diritto e quello della morale: l’utilitarismo solo, sotto la parola d’opportunità, è rimasto nel fondo di questi animi, e fors’anco senza che il sappiano essi medesimi, perché gli uomini inconseguenti senza saperlo non hanno numero. Infatti, qual principio seguono mai costoro? Nissuno per ripeterlo. Seguono forse il principio della libertà? Come mai, se

    suppongono che la libertà non sia qualche cosa in natura, ma una cosa che emana da essi,

    e in quella misura che essi a loro beneplacito concedono agli uomini ed ai cittadini? Come? Se credono di poter disporre a loro arbitrio senza scrupolo alcuno della libertà di tutti, ed esser in facoltà di restringerla e di risecarla, e secondo l’opportunità del sistema del partito che seguono ora concederne una parte maggiore, ora una minore, e in tali modi e forme, che venga a favorire soltanto una consorteria, e non tutti quelli che n’hanno dalla natura il diritto? «Noi non vogliamo favorire una consorteria, ci rispondono; ma vogliamo, che prima di tutto i padri stessi acquistino sentimenti liberali, e sieno affezionati per istima di cuore al sistema costituzionale. Allora la libertà d’istruire ed educare i loro figlioli, lasciata pienamente ai padri di famiglia, sarà opportuna, e noi loro la concederemo».
    Ma, cari signori, volete voi da vero che i padri di famiglia acquistino sentimenti liberali? In che dunque fate consistere questi sentimenti liberali, che volete vedere in altrui, se voi stessi siete despoti fino nei più intimi visceri? Non è egli questo stesso un atto di orribile dispotismo il disporre dei diritti naturali dei padri, il vincolarli, l’impedirne l’esercizio, col pretesto, che non sono ancora divenuti come voi liberali? Non volete dunque la libertà, se non a favore di quelli che sono liberali come voi. Poiché chi siete voi, quando escludete tutti i padri di famiglia, se non una consorteria, anche piccola, di dottrinari? E per dottrinari intendo tutti gli uomini inconseguenti del giusto mezzo, e dell’opportunità.
    Di più considerate, buona gente, quanto il vostro principio di liberalismo, calante e crescente secondo l’opportunità, sia fatto tutto all’uso ed al comodo dei despoti i più sformati. Non istarebbe bene, anche in bocca di qualunque monarca o Governo il più assoluto, questo vostro ragionamento? «Noi riconosciamo pienamente la libertà come un diritto, ma dipendentemente da noi: la concederemo quando, a nostro giudizio (notate bene: a nostro giudizio, come appunto dite voi) sarà opportuno il concederla: il popolo non è ancora adesso maturo». Che cosa è il popolo se non i padri di famiglia? Quando voi dunque, signori dottrinari, negate la libertà naturale ai padri di famiglia, la negate al popolo: dite quello stesso che possono dire, e che dicono effettivamente i più assoluti Governi. Voi dunque avete l’assolutismo nel cuore e nella corata; e potete formulare il vostro liberalismo così: «Noi aspettiamo che i padri di famiglia diventino liberali, e allora diventeremo liberali anche noi, cioè non impediremo la loro libertà. Per intanto vogliamo impedire la libertà altrui, contentandoci di riconoscerne il diritto colle parole». Ecco il vostro liberalismo.

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