Ora Eco se la prende con Charlie Hebdo | L’intraprendente
9 years ago
Dopo l’intemerata contro i social, su “L’Espresso” critica Hebdo: “Non si deve offendere la sensibilità religiosa altrui”. Peccato che lui stesso si sia fatto beffe del cattolicesimo ne “Il nome della rosa” e in altri libri abbia preso in giro la spiritualità orientale. La verità è che con l’islam prevale la strizza…
All’intellighenzia occidentale non sarà parso vero. Sì, perché è dallo scorso 7 gennaio, cioè dal momento stesso in cui il massacro è stato consumato, che i progressisti europei e americani si affannano a ricercare argomenti – il più possibile persuasivi e, almeno all’apparenza, nobili – che li autorizzino a prendere le necessarie distanze, a operare i doverosi distinguo, a portare avanti le opportune obiezioni, insomma a poter dire che «Je suis Charlie», certo, però al dunque mica poi troppo. E adesso cosa accade? Accade che in soccorso di questa folta schiera di illuministi intermittenti e di libertari con riserva, già ampiamente confortati dallo storico francese Emmanuel Todd con il suo recente pamphlet Qui est Charlie? (in cui si sostiene che i cortei a favore del settimanale satirico Charlie Hebdo siano in realtà espressione di sentimenti reazionari e di volontà discriminatoria nei confronti delle minoranze), sia giunto addirittura colui che oggi è molto probabilmente l’intellettuale più prestigioso e più influente al mondo, Umberto Eco. Nell’ultima puntata della sua rubrica “La bustina di Minerva”, ospitata sul numero de L’Espresso attualmente in edicola, Eco lo afferma senza mezzi termini: quelli di Charlie Hebdo hanno sbagliato. Perché? È presto detto: perché realizzare delle caricature in cui compaia il massimo profeta dell’islam, Maometto, non sta bene. «C’è un principio etico», scrive Eco, «per cui non si dovrebbe offendere la sensibilità religiosa di altri, ragion per cui anche chi bestemmia a casa propria non va a bestemmiare in chiesa».
L’esempio, a dire il vero, non appare particolarmente calzante, visto che nessun autore di Charlie Hebdo si era impegnato a distribuire copie della propria rivista in una moschea. Ma è interessante approfondire il seguito della riflessione di Eco, che prende le mosse dalla decisione del cartoonist americano Art Spiegelman – decisione da Eco stigmatizzata – di non consentire l’utilizzo di una propria copertina sulla libertà di pensiero alla rivista New Statesman, poiché quest’ultima si era rifiutata di pubblicare una caricatura di Maometto che Spiegelman stesso aveva allegato all’altra illustrazione. Per fugare il sospetto che anche lui, vecchio goliarda che ha sempre avuto in uggia le censure di matrice religiosa (basterà citare Il nome della rosa), stia facendo i salti mortali per non ammettere che dietro il suo “nessuno tocchi Maometto” si nasconda soltanto una fifa blu del terrorismo islamico, Eco arriva a scrivere che «non ci si deve astenere dal caricaturare Maometto per timore di rappresaglie, ma perché (e mi scuso se l’espressione è troppo morbida) è “scortese”». Troppo morbida? Ma no, signora mia (anzi, professor Eco): ci mancherebbe altro, l’espressione è dura al punto giusto… La posizione di Eco, così come in generale quella di tutti i sedicenti sostenitori della libertà d’espressione i quali tuttavia, dopo l’attentato alla redazione di Charlie Hebdo, hanno iniziato a profondersi in eccezioni e caveat, è così difficilmente difendibile da richiedere incredibili contorcimenti logici. Contorcimenti tanto estremi da produrre tesi non solo bislacche, ma che si contraddicono da sole. Esattamente come quella di Eco. Vediamola.
Scrive ancora il semiologo: «Era lecito difendere il diritto di esprimersi, anche se in modo scortese, affermando “Je suis Charlie”, ma se io fossi “Charlie” non andrei a prendermi gioco né della sensibilità musulmana né di quella cristiana (e neppure buddhista, se fosse il caso)». E qui vale la pena ricordare la figura di Swami Brachamutanda, geniale invenzione con cui proprio Eco anni fa si fece beffe del sincretismo di certi maestri spirituali alla Osho, in cui il buddhismo si fonde con l’induismo e altre dottrine. Ma torniamo a noi. «Se i cattolici», prosegue Eco, «si turbano se gli offendi la Beata Vergine, rispetta il loro sentimento e caso mai scrivi un prudente saggio storico per mettere in forse l’Incarnazione. Se i cattolici sparassero contro chi offende la Beata Vergine, combattili con tutti i mezzi». Ecco, appunto. Lo scrive pure Eco: un conto è ironizzare sulla Madonna, tutt’altro paio di maniche è sparare a chi ironizza. Due cose assolutamente incomparabili, la seconda delle quali richiede una reazione decisa, forte, nettissima (Eco dixit). Una reazione che magari potrebbe iniziare proprio con quei cortei che, da quanto si capisce, neanche Eco ha condiviso in pieno. Figuriamoci perciò quanto potrebbe condividere i «combattimenti» che, a parole, dice di auspicare.
Se fin qui il ragionamento di Eco appare incoerente, il meglio (o il peggio) deve ancora venire. Aggiunge infatti il romanziere, smentendo il concetto che, con difficoltà, aveva provato a sostenere fino a quel momento (ossia che quanto fatto da “Charlie Hebdo” e da Spiegelman fosse sbagliato): «Nazisti e antisemiti di ogni risma hanno diffuso orrende caricature degli “infami giudei”, ma in fondo la cultura occidentale ha accettato queste ingiurie rispettando la libertà di chi le diffondeva». Orbene, professore, lo afferma lei stesso! È nell’accettazione della possibilità di esprimersi – e di esprimere anche le cose più aberranti – che l’Occidente trova una delle manifestazioni più alte di sé, il suo senso, la sua identità, la sua unicità. Dunque questa notazione di carattere storico non avalla, bensì smentisce categoricamente quanto lei ha provato ad asserire nel suo articolo, vale a dire che non è il caso di ironizzare su Maometto. Non sarà il caso altrove, forse, ma in Occidente dev’essere il caso per forza, altrimenti non è più Occidente. Non è più, quantomeno, l’Occidente contemporaneo, che annovera la tutela della libertà d’espressione fra le sue conquiste più grandi, e più dolorose (anche se il semiologo tende a denigrare questo diritto, se applicato ai social network).
L’ultima conferma della confusione di Eco la si rintraccia nella chiusa del suo pezzo: «Però quando dalla caricatura si è passati al massacro ci si è ribellati. Cioè si è rispettata la libertà di Drumont (nell’Ottocento) di essere ferocamente antisemita ma si sono impiccati i boia nazisti a Norimberga». Sì, ma che c’entra? In quel caso si parla di due cose (le polemiche antisemite e i boia degli ebrei) figlie di un medesimo pregiudizio e, comprensibilmente, trattate in maniere del tutto differenti data la loro diversa gravità. Nel caso nostro sono invece in ballo una parte (dei pacifici autori di satira) e un’altra che con la prima non ha niente a che vedere, cioè la parte dei fanatici musulmani che vorrebbero imporre la sharia in tutto il mondo attraverso la violenza. Questa volta, insomma, Umberto Eco ha partorito un pasticcio imbarazzante. Capita quando ci si arrampica sugli specchi (Sugli specchi e altri saggi, è del resto il titolo di un vecchio libro del professore). Non gli sarebbe convenuto ammettere: ragazzi, ho pure io una strizzache non vi dico? In questo modo, se non all’intellighenzia, avrebbe reso un miglior servizio alla sua (indiscutibile) intelligenza.