Quei “difensori della razza” che passarono all’antifascismo
9 years ago
Il Giornale - 28 gennaio 2010 - Giancarlo Lehner
Ricordare le vittime della persecuzione razziale comporta anche l’imperativo morale di tenere a mente quanti parteciparono attivamente, in Italia, alla giustificazione ideologica della legislazione razzistica ed antiebraica, che il fascismo riprese pressoché alla lettera dal Terzo Reich.
Intellettuali, artisti, giornalisti, professori, scienziati, la stessa genìa di firmatari che poi diventerà rossa e sarà, ad esempio, mandante morale dell’assassinio del commissario Calabresi, sottoscrissero entusiasti il Manifesto sulla purezza della razza, 14 luglio 1938.
Sotto affermazioni del tipo: «È tempo che gli italiani si proclamino razzisti»; «additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana»; «gli ebrei non appartengono alla razza italiana»; «gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituita da elementi razziali non europei», apparvero le firme di dieci «luminari»: Sabato Visco, Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzia, Guido Landra, Luigi Pende, Marcello Riccia, Franco Savorgnano, Edoardo Zavattari.
Fra i sostenitori aggiunti dell’antisemitismo e del razzismo, si ritrovarono, fra gli altri: Pietro Badoglio, Piero Bargellini, Mario Missiroli, Gabriele De Rosa, Luigi Chiarini, Enzo Santarelli, Furio Scarpelli, padre Agostino Gemelli, Aldo Capasso, Cesare Frugoni, Luigi Gedda, Nicola Pende, Attilio Vallecchi, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Domenico Paolella, Giorgio Bocca, Amintore Fanfani, Giovanni Spadolini, Giorgio Almirante.
Lo stesso Moravia attivò un rapporto epistolare con Mussolini, per richiedere favori (si chiude con «devotamente» la lettera del 7 marzo 1941).
Il futuro antifascista, nonché «Catone» a tempo pieno, Giorgio Bocca, sentendosi tanto «ariano», quattro anni dopo aver approvato il manifesto sulla razza, spiegò così le motivazioni ideali della guerra dell’Asse:
«Sarà chiara a tutti… la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù».
D’altra parte, come non ricordare i correi dell’antisemitismo, quantomeno per silenzio-assenso, i «cuccioli» che il razzista Giuseppe Bottai allevò e raccolse nella sua rivista Primato, il cui condirettore era il futuro conduttore Tv, Giorgio Vecchietti?
Certo, essendo lesti a cambiar pelle, molti, troppi scamparono alla catastrofe, inserendosi perfettamente nel Pci, nel Psi, nei partiti dell’arco costituzionale, dove ripresero le loro irresistibili carriere. Come disse Leo Longanesi, i fascisti si dividono in due categorie: fascisti ed antifascisti!
Parlo di Enzo Biagi, Cesare Zavattini, Mario Alicata, Renato Guttuso, Nicola Abbagnano, Alfonso Gatto, Walter Binni, Francesco Flora, Galvano Della Volpe, Giorgio Spini, Giaime Pintor, Vasco Pratolini, Cesare Pavese, Mario Luzi.
Così, accadde nel mondo del teatro e del cinematografo del regime, i cui attori, sceneggiatori e registi, complici anche del razzismo, traslocarono in blocco nell’antifascismo; assai spesso, in quello illiberale mirante all’edificazione del totalitarismo comunista.
Il famoso neorealismo scaturì proprio dalla fascistissima Cinecittà, epicentro dei voltagabbana.
Così, nell’editoria e nel giornalismo, nelle università e nelle libere professioni, vedi le «cadute» mussoliniane di Norberto Bobbio o di certi repubblichini di Salò, capaci di passare disinvoltamente dall’adorazione dei crimini di Hitler a quelli di Stalin e che tuttora si distinguono soprattutto per l’odio ossessivo verso Berlusconi.
Costoro non solo la fecero franca, ma s’inserirono nelle stanze dei più variegati bottoni dell’Italia cosiddetta repubblicana, antifascista, nata anche dalla resistenza… alla verità, alla propria coscienza, all’etica della responsabilità.