Partecipata canaglia—di Gemma Mantovani – LeoniBlog
10 years ago
Ci sono i cosiddetti stati canaglia, quegli Stati considerati una minaccia per la pace mondiale. E ci sono le partecipate canaglia, una minaccia alla legalità nel nostro paese.
Il tema dell’infiltrazione in gare ed appalti della criminalità organizzata è di grande attualità. Ma non è un argomento solo del presente. Credo però sia indispensabile cominciare a lavorare con la memoria e con i fatti.
Per non dimenticare. Per non dimenticare, ad esempio, che dalla seconda metà degli anni ’90 fino quasi alla prima decade del 2000 in molte città del nord, in Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, ecc., grandi società partecipate pubbliche hanno disinvoltamente affidato in appalto la gestione di servizi alla mafia.
Sì, alla mafia.
Per non dimenticare, un nome per tutti: Italia 90. Che dire, ricordando gli scandali di quei mondiali in quanto a mazzette, appalti truccati e la peggior politica coinvolta, già il nome fu profetico. Nasceva come Truddaio S.a.s con sede a Palermo, alla Via dello Spasimo.
L’occasione locale è un contratto di appalto per la gestione dei rifiuti solidi urbani/ingombranti umido/differenziata, ecc.ecc. con servizio di raccolta e trasporto, della durata di 5 anni per alcuni comuni del circondario della provincia per il valore di svariati milioni di euro e affidati con procedura ristretta. L’appalto, come previsto nel contratto stesso, viene interamente gestito coordinato e controllato anche nelle modalità di erogazione del servizio e di pagamento dalla Grande Partecipata del capoluogo.
Nessuna verifica, nessun controllo sulla società affidataria? Nessun dubbio o nessun sospetto?
In fondo, basta navigare un po’, e neppure tanto.
Italia 90 S.r.l. era una società nelle mani di Luigi Abbate detto Ginu u’ mitra, vista la sua abilità con le armi, uomo del mandamento di Palermo Porta Nuova, la figlia Maria, Susanna Ingargiola, Claudio Demma, tutti affiliati con pedigree completo, alcuni di loro finiti poi in carcere all’Ucciardone, con tutti i beni sequestrati.
La società, peraltro, collezionava vertenze di lavoro perché, ovviamente, ca va san dire, non pagava i dipendenti e tutti insieme appassionatamente, amministratori palermitani e sindacati locali a ranghi completi, venivano ricevuti dai prefetti per trovare accordi sulle spettanze non pagate: insomma, il meglio della concertazione.
I nostri comuni riempiono i loro siti di buone intenzioni antimafia, mille protocolli, adesioni a manifestazioni del variegato associazionismo contro le mafie.
Ma è possibile che nessuno si sia accorto dell’“anomalo” affidatario dell’appalto?
Già, le società partecipate, ricettacolo di clientele politiche bipartisan: conviene a tutti tacere.
Vale sempre l’adagio della casta partitica “oggi a me domani a te”. La capacità di spesa, totalmente fuori controllo di questi apparati gestiti secondo le logiche della spartizione politica, fa gola a tutti e, ovviamente, non può non far gola alla criminalità organizzata.
In quegli stessi anni, in una nota società privata multinazionale straniera nel ramo trasporti “saltava” l’intero board italiano per un mero sospetto di infiltrazione della criminalità organizzata in una delle tante società appaltatrici; venivano licenziati e sospesi dipendenti e manager con grande accortezza e prudenza sebbene il caso fu chiuso, archiviato, senza alcuna responsabilità individuata né in capo ai singoli né in capo alla società. Eccesso di zelo? No, serietà.
E dove sono oggi gli amministratori di quelle società partecipate? Hanno dovuto rendere conto di questo? Qualcuno ha indagato o semplicemente verificato quantomeno le ragioni di quelle scelte?
La domanda è retorica. E a volte è purtroppo solo retorica anche l’antimafia. Come la retorica dello Stato che ci protegge: sicuramente dall’infiltrazione nell’economia della criminalità non sempre.