Ripresa dopo la recessioneObama stracciato da Reagan – Glauco Maggi
10 years ago
“Perche’ Obama ama Reagan”, titolava la copertina della rivista liberal Time nel febbraio del 2011. Era quando Barack sognava di bissare la performance economica del presidente repubblicano, che pure aveva odiato in gioventu’ da studente simpatizzante socialista alla Columbia, dove era arrivato nel 1981 mentre Reagan entrava alla Casa Bianca. L’intento di Time, e del presidente democratico, era di lustrare la sua immagine da risanatore dell’economia, dopo la crisi del 2007-2008. E’ andata, come si vede bene oggi 30 aprile 2015, assai diversamente. La crescita quasi zero del primo trimestre dell’anno, +0,2% contro l’1% previsto dagli economisti, ha confermato che il paragone storico tra Reagan e Obama e’ impietoso per il secondo.
Il Wall Street Journal ha ricalcolato le crescite del PIL americano nei cinque anni successivi alla fine delle precedenti quattro recessioni, e quella che si e’ conclusa nel giugno del 2009, con Obama arrivato da pochi mesi alla Casa Bianca a guidare le leve economiche, e’ la piu’ asfittica di tutte: soltanto il 13,6%. La ripresa iniziata dal 1982 (Reagan fu presidente dal 1981 al 1989) e’ stata invece la piu’ rimarchevole, il 30,1%. Le altre tre si collocano nel mezzo, ma tutte lontane dal record di Reagan: +20,6% la crescita cominciata nel 1975, + 19,9% quella del 1991, +16,8% quella del 2001. In generale, ci sono voluti quasi cinque anni ad Obama per recuperare lo stesso numero di lavoratori che c’erano all’inizio della recessione del 2007, un lasso di tempo che e’ il piu’ lungo di ogni recessione precedente. Nello stesso tempo, pero’, alla forza lavoro potenziale si sono aggiunti 14,7 milioni di giovani, il che ha portato al livello piu’ basso di “tasso di partecipazione” della popolazione Usa al mondo del lavoro dagli Anni ’70. Quanto alla qualita’ di questi lavori, poi, e’ aumentato del 46%, dal 2007 ad oggi, il numero degli impiegati part-time, da 4,5 milioni a 6,6 milioni. Anche gli stipendi sono un tasto dolente: il reddito mediano delle famiglie e’ caduto da 54mila dollari annui nel 2009 ai 51,9 milioni del 2013 (ultimo anno disponibile), ed e’ la prima volta che si assiste ad un calo durante una fase di recupero post- recessione.
Vi ricordate il famoso “superstimolo” da quasi 900 miliardi di soldi pubblici che il Congresso, allora tutto DEM, fece passare nella primavera del 2009, su ordine del neopresidente? Nel primo anno di “manna” dei contribuenti, secondo uno studio della Ohio University, “circa tre quarti dei posti creati o salvati” andarono al settore pubblico, mentre un milione di posti privati furono distrutti o non si materializzarono come avrebbero potuto. Eppure, ancora oggi la ricetta dei DEM e del presidente e’ di mungere la vacca del bilancio, anche se ha dato finora risultati imbarazzanti. Il fallimento della politica economica di Obama e’ dimostrato, oltre che dai numeri del PIL e dei posti di lavoro, anche dagli effetti sul mondo della scuola. Parlando a proposito di Baltimora, alla ricerca di un antidoto alla condizione dei giovani arrabbiati senza speranza e lavoro che esplodono nelle proteste violente, Obama ha chiesto di finanziare “l’educazione dalla tenera eta’”, e di “fare investimenti” nell’istruzione professionale dei giovani affinche’ abbiano “la preparazione che serve loro per trovare un lavoro”. Come se l’America fosse stata finora tirchia nella spesa sociale…
Michelle Malkin, sul New York Post, ha ricordato che circa 115 miliardi del primo superstimolo del 2009 finirono nei distretti scolastici, di cui 13 miliardi per i ragazzi di basso reddito, 4,1 miliardi per una legge specifica rivolta agli Stati (Head Start) e per servizi di assistenza ai minori, 650 milioni per l’educazione tecnologica, 200 milioni per gli studenti lavoratori nei college, 70 milioni per i bambini senza casa. La settimana scorsa la Federal Reserve di Saint Louis ha fatto un sondaggio tra i destinatari dello stimolo nel comparto dell’educazione e ha concluso che per ogni milione di dollari in finanziamenti ai distretti scolastici sono stati creati un posto di lavoro e mezzo, “per lo piu’ in posizioni di staff non insegnante”. I soldi alle scuole pubbliche arrivano eccome, solo che servono a mantenere una crescente struttura burocratica, ipersindacalizzata e politicamente protetta, di personale non responsabile dei risultati che fornisce a studenti e famiglie.
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