La sete di democrazia e il costo dell’“acqua pubblica”—di Max Del Papa – LeoniBlog
10 years ago
Max Del Papa
Quello che ogni famiglia aveva capito in modo percettivo, sulla pelle del proprio portafoglio, adesso è ufficiale: in un decennio il costo dell’acqua è aumentato praticamente del 100% (95,8%, per la pignoleria). Ne dà notizia Sergio Rizzo sul Corriere riprendendo i risultati dell’Ufficio Studi della Confartigianato. Non basta. La tendenza appare serenamente fuori controllo, e con i nuovi metodi di calcolo delle tariffe le bollette non potranno che impennarsi ulteriormente. Sono serviti i compulsatori di referendum come quello che, nel 2011, metteva di fronte ad un falso dilemma, fuorviante e ideologico: mantenere l’acqua, “bene pubblico”, nelle confortanti e sagaci mani pubbliche, oppure abbandonarla ai rapaci artigli del famelico privato?
Ricordiamo, all’epoca, l’isteria, il clima da caccia alle streghe (private), i toni da crociata, le iniziative di indottrinamento nelle scuole (pubbliche), del tutto inopportune al limite dell’illegittimità, dirette com’erano a ragazzini non ancora in età di voto, ricordiamo la disinformazione, la propaganda, la distorsione, il terrorismo mediatico. L’opzione, in realtà, non abbandonava niente a nessuno: proponeva la possibilità di introdurre metodi gestionali meno dispersivi e clientelari affiancando soggetti privati, muniti di specifiche risorse ed expertise, al soggetto pubblico che manteneva la definitiva proprietà del bene. Come succede ovunque in Europa e nel mondo civile. Niente da fare. Fu privilegiata a furor di popolo una gestione pubblica che pubblica non è, che resta cosa loro, di pochi comitati e potentati liberi, loro sì, completamente, di proporsi con arroganza quali esclusivi rappresentanti assoluti della salute pubblica. E di insistere senza alcun controllo reale su ulteriori sprechi, clientelismi, metastasi burocratiche da tradurre nell’esplosione dei prezzi, nella pessima amministrazione.
Tanto fu. Il referendum stroncò qualsiasi velleità riformatrice. “Pubblica” era, l’acqua, e “pubblica”, ossia nelle mani di pochi pro tempore (un tempore indefinito) aveva da restare. Qualche sventato fu udito (da chi scrive) compiacersi: “Per me l’acqua può anche raddoppiare, è una questione di princìpio”.
Sarà contento, allora.
È andata precisamente così, ed è quasi patetico riassumere il rosario di cause: quando un bene resta in un monopolio “pubblico”, il “pubblico” giustamente ne approfitta – perché non dovrebbe? Per seguire i dettami della bella politica? Non scherziamo. Insiste nella malagestione “con più fame che pria”, forte del consenso dopato dei cittadini. Aumenta le trattative private, perché lui, “pubblico”, può. Lui può tutto e non deve rispondere di nulla, non deve fornire spiegazioni a piè di lista: le tariffe sono aumentate del 100%? E’ il costo della democrazia, e non fa niente se questo costo è del tutto fuori da ogni parametro europeo. Tanto, “nessuno” paga, con virgolette altrettanto imposte dalla dimensione “pubblica”.
Sarebbe potuto andare altrimenti? Sì, cioè no: quella dei nostri referendum, dal nucleare all’acqua a qualsiasi altra questione, è la storia grottesca di una infinita incomprensione dei fatti, delle dinamiche, delle prospettive. Ma a che serve ora rimarcarlo? Gli italiani, opportunamente imbeccati da quella politica che, comprensibilmente, non voleva rinunciare alle sue rendite di posizione, hanno scelto: adesso non potranno lagnarsi, viceversa, coerentemente, dovranno compiacersi dell’esplosivo aumento della bolletta acquifera nel volgere di una decade. Proporzionalmente, ci ritroviamo l’acqua più cara d’Europa; e non potrà che rincarare ancora. Anche nell’acqua, meglio gli sprechi, la moltiplicazione di
baracchini e baracconi, la gestione clientelare, le infrastrutture decrepite, i progetti di ammodernamento lettera morta, la mano mafiosa sull’intero Mezzogiorno, le trattative riservate, gli appalti agli amici degli amici. Tutto, purché non “privatizzato”. Meglio l’acqua “pubblica”.
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